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Recensione : Punk Latino in formato EP : Bolgia, Alvilda, Prison Affair

Bolgia, Alvilda, Prison Affair: punk è termine inglese, si sa, e ne indica i natali per forza di cose (o, per lo meno, dove il fenomeno ha ricevuto una prima definizione) ma alla fine della fiera.....

Punk Latino in formato EP : Bolgia, Alvilda, Prison Affair

Punk è termine inglese, si sa, e ne indica i natali per forza di cose (o, per lo meno, dove il fenomeno ha ricevuto una prima definizione) ma alla fine della fiera, oggi come oggi, si può dire, spero senza timore di smentite, che sia diventato di uso comune ad ogni angolo del globo.

Non capita a molte parole caratteristiche di un dato idioma di divenire parte di un linguaggio universale, condiviso dal globo tutto; punk significa la stessa cosa in Germania, nelle Filippine, in Congo, in Argentina: dici punk e, ovunque tu sia, puoi star certo che ti capiranno…”costui è qui per rompere i coglioni”

Capita quindi che anche, qui in Europa, nei tre paesi latini, ci siano delle manifestazioni in tal senso e che, dati ormai i numerosi anni di frequentazione e sperimentazione sul genere in questione, queste siano di alto livello e nulla abbiano ad invidiare rispetto alle uscite dei paesi dove il Punk è nato (o, ribadisco, abbia conosciuto questa sua prima definizione):


Alvilda “Négatif” 7” Alien Snatch! Records, 2021





Vorrei essere Vittorio Gassman ne “Il Sorpasso”: un incrocio ben riuscito tra un cialtrone ed un esperto del vivere , avere Jean Louis Trintignant come compagno di viaggio e soprattutto un mangiadischi in auto per poter ascoltare questo singolo tutta l’estate mentre sfreccio per vie assolate profumate di salsedine…

Power Pop solare, fresco, ma con sonorità secche e ruvide, come nel Punk è giusto che sia. Questo quartetto francese tutto declinato al femminile possiede una capacità straordinaria di far ballare ma anche rilassare e ci regala un singolo di quattro tracce veramente sorprendente.

Già Négatif che, al di là del titolo (è pur sempre punk, bene non scordarselo mai), ci regala un due minuti di ballo incontenibile: Power Pop come Nikki and the Corvettes comandano, illusioni ’60’s coperte da un chitarrismo secco e pulito e una ritmica serrata; un vero e proprio gioiello per arricchire e dare un senso ai sabato pomeriggio sotto il sole, in terrazzo, mentre si legge un libro e si sorseggia un buon bianco.

L’atmosfera è quindi quella giusta e le Alvilda son brave a tenerla in piedi per tutta la durata dell’EP (solo quattro pezzi, d’accordo, ma c’è chi non sa farlo anche in un singolo brano): nel brano Kylie uniscono la chitarra ritmica di Clash e Buzzcocks (quell’andamento a singhiozzo che crea tensione ed attesa) ad un’armonia vocale stupenda, solare più del sole stesso e anche quando, nel break del pezzo, il ritmo si fa più serrato, le nostre non rinunciano alla pratica melodica nella quale, in verità, si dimostrano vere maestre (anche il finale, guidato da dei fraseggi di chitarra semplici e geniali, ha un che di liberatorio e appassionante).

Cinéma vanta una chitarra più satura e urticante in apertura del brano ma riesce comunque a sposarsi alla perfezione con tutte le altre componenti della traccia, dando vita a interessantissimi dialoghi armonici: un contrasto che crea solo felici intuizioni e che arricchisce il disco con una sortita inaspettata e che accende ancora di più i canali ricettori in previsione della chiusa, che altro non è se non un componimento praticamente perfetto, un pezzo pop che, salvando il salvabile dal pop, crea un pezzo Punk Rock dalla melodia, e dalla struttura, inattaccabile:

Demain si risolve in due minuti di coretti puntuali come bisturi di chirurgo e soluzioni, in sede di arrangiamento, che riconciliano col mondo (anche quando il mondo non vuole riconciliarsi con te). Una tirata che delude solo perché è l’ultima composizione in scaletta; proprio ora che ci si iniziava a riscaldare bene bene e a perdere ogni freno inibitore.


Giro il disco, ripongo sul piatto, abbasso la puntina e ricomincio da capo: da oggi fino all’ultimo giorno d’estate.

Bolgia “Vicoli” Ep, 2022



Qui in Italia, col Crust e con l’Hardcore a velocità cervellicide, ci sappiamo fare da una vita: una delle prime testimonianze viniliche ascrivibili al Punk uscite entro i nostri confini è lo split Wretched/Indigesti del 1982, un vero e proprio capolavoro di velocità esasperate, dissonanze e cattiveria.

I Bolgia rientrano perfettamente in questa tradizione, aggiungendoci Slayer e Death Metal dai suoni marci: questo secondo singolo, “Vicoli”, titolo perfettamente centrato nell’indicare la provenienza del gruppo, è una strage svolta in pochi minuti e una condanna della realtà che li circonda:

la provincia Pisana, paesi su paesi composti da vicoli su vicoli, percorsi bui, a fondo chiuso, senza direzione, senza via di uscita; un senso come di claustrofobico astio che si rivive per tutto l’ascolto del disco:

un intro di chitarra pulita, tetra e in minore, rumore, feedback distanti, malinconia, dolori e poi l’attacco di Incubo che strappa dal torpore e immette senza far uso di pietà alcuno in una cavalcata senza freni e senza requie che rallenta solo in occasione di un ritornello antemico e mozza il fiato in stop&go da vertigine.

L’atmosfera è cupa, il delirio una certezza: “Condannati” è un’altra cavalcata epica, una marcia cadenzata che degli Slayer e degli Skitsystem fa un tutt’uno pericoloso ed urticante; tecnica Thrash asservita all’efferatezza del Crust svedese.

La canzone cresce in velocità e, nel mentre scuote con riff di nero metallo, a tradimento la ritmica diventa un blast beat devastante e devastato.

Un giro di basso, tetro come appunto è tetro un vicolo di notte, accompagnato da un riff distante che sa di Kerry King, e Senza un Perché ti esplode tra le mani: ordigno inesploso ma che una mano disattenta e inconsapevole ha riattivato. 3 minuti di claustrofobica violenza e disturbo; qui non si rallenta, non si cede, non si riflette e, soprattutto, non ci si chiede il perché.

Nel finale, ma solo dopo aver corso ed essersi persi per vicoli fatti di noia e disperazione, si frena in un mosh solenne e devastato nello stesso tempo, e che sfuma, lasciando come l’impressione che il gruppo voglia proseguire in solitaria nel suo racconto di vicoli, buio e grida: un percorso individuale e separato, un po’ come l’esistenza di ogni individuo su questo pianeta…


Prison Affair “Demo 3”, 2022-La Parca



In Spagna si sono dati da fare col Rock un po’ in ritardo, rispetto agli altri due paesi latini, per via di un piccolo incidente di percorso chiamato dittatura Franchista che li ha tenuti al palo per quasi quarant’anni.

Tuttavia gli spagnoli, con gli anni ’80, si son subito rimessi al passo dando vita ad una delle più creative e originali scene Post Punk e Punk Rock del decennio; talmente al passo che, arrivati ai giorni nostri, riescono anche ad andare avanti rispetto agli altri e, addirittura, mettersi in cattedra insegnandoci nuovi linguaggi e tecniche.

È proprio il caso di questi Prison Affair che, a livello mondiale, sono tra i più considerati esponenti del genere Egg Punk.

Genere piuttosto criticato dai puristi, dato l’uso smodato dell’Autotune nella voce e per le velocità esasperate delle basi che fanno pensare più a dei magheggi in fase di registrazione che ad una reale bontà esecutiva, l’Egg Punk, tuttavia, al sottoscritto piace parecchio (in più vi aggiungo, in una non richiesta nota autobiografica, che uno dei capisaldi del genere, LP1 dei Coneheads, oramai 7 anni fa, riaccese in me ogni entusiasmo verso il Punk Rock e ne determinò il definitivo riavvicinamento sia come ascoltatore che come, ehm ehm, musicista) e i Prison Affair rimangono tra i migliori in assoluto.

Posizione di vetta che confermano con questa terza uscita in solitaria (in più c’è anche uno split 7” condiviso con gli americani Research Reactor Corp.) che, data la caratura da testa di serie, dal sottogenere parte ma dal sottogenere si distingue:

chitarre filtrate da effetto Echo e ritmiche punk, Big Bottom Baby è una quasi-strumentale dove la voce è giocata quasi come uno strumento di commento e non come collante armonico; compare poco ma, quando compare, definisce e completa passaggi cardine del pezzo; la velocità non è esasperata ma la chitarra si perde dolcemente tra ritmica e fraseggi, quasi in una versione punk rock di Jimi Hendrix.

Nice Guys è una rigorosa marcia meccanica in cui la chitarra sembra sempre più sospesa tra Post Punk e rimandi quasi in odore di punk rock.

In Bed Time la voce scende di un tono e il ritmo si fa più serrato; la ritmica sostiene il pezzo per tutta la sua durata mentre la chitarra appare e scompare in un gioco mozzafiato che dona tensione e nervosismo (Egg Punk o no, si parla sempre e comunque di Punk…).

I Prison Affair giocano coi generi, li mutilano, li deflagrano, ne riassemblano i pezzi dando vita a quadri in stile “Guernica” del loro connazionale Pablo Picasso: una sorta di rock n’ roll reinterpretato da una mente meccanica.

El Motín è violenza punk rock rielaborata, processata da un computer: l’urgenza del cantato, l’irruenza della ritmica, la nevrosi chitarristica e quel senso di automatico, sintetico, chirurgico che rende il tutto affascinante come una nuova scoperta nel campo delle automazioni…

un qualcosa che, a seconda di chi ne disporrà, potrebbe essere benefico e malefico per il resto dell’umanità…quel senso di indefinito, sospeso, fragile che niente meglio del Punk Rock sa interpretare e pochi, come i Prison Affair riescono a mettere su disco in modo più che credibile…


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