Affermare che un italiano riesca a scrivere un western alla maniera americana può sembrare, a primo acchito, un’esagerazione. Dire che lo faccia addirittura meglio, sfiora la bestemmia. Finora l’unico esempio restava il Tex di G. L. Bonelli. Finora. Appunto. Premetto che, conoscendo Di Marino più per il suo lato spionistico-avventuroso, mi ero perso altri suoi exploit, tra cui il ciclo paranormale dell’indagatore dell’occulto Salieri, e, appunto, il precedente ciclo western, Wild West. Forte stupore quindi nello scoprire la grande versatilità dell’autore nei più svariati tipi di generi commerciali. E come se il nocciolo duro, l’essenza dello scrittore restasse sempre quello, permettendogli di adattarlo a qualsiasi forma.
Di Marino smentisce un mito tutto italiano degli ultimi anni: adattare per forza i generi americani al nostro paese. Bisognerebbe quindi fare un giallo all’italiana. Questa è solo una visione ristretta e superficiale della letteratura. Che, casualmente, ha portato alla ribalta alcuni grandi scrittori gialli, come Camilleri. Un autore padrone della materia può ambientare la sua opera dove vuole: nel suo paese come all’estero, sulla luna come nel sogno. Ma deve, appunto, padroneggiare le regole di contenuto e stile del genere che scrive. Questa è l’unica regola sempre valida, a tutte le latitudini.
E questa padronanza permette a Di Marino di scrivere con precisione qualsiasi genere. Sono come delle lingue per un traduttore. Lui ne padroneggia molte, e bene.
Dunque, prima regola di un buon western. Pochi personaggi ma ben tratteggiati con semplici colpi di pennello. Un tenente dell’esercito americano, la donna che lui ama, un capo Apache ribelle.
Poi, il contesto storico. Che richiede doti estremamente forti nel sintetizzare un immaginario che ha più di cent’anni di vita. Da un lato bisogna essere estremamente precisi anche nei minimi dettagli. Se scrivo Winchester o Sharp, parlando di fucili, non è la stessa cosa. Lo stesso discorso vale per le descrizioni dei luoghi o dei personaggi storici realmente esistiti (che emozione per un texano di ferro come me risentire i nomi di Cochise, Mangas Coloradas). D’altro canto non bisogna mai cadere in un appesantimento dovuto a iper descrizioni troppo dettagliate. E un equilibrio sottilissimo entro cui giostrarsi. Al nostro autore sembra che venga quasi naturale.
L’altro equilibrio complesso è quello tra azione e riflessioni. Il western permette sia momenti di forte dinamismo che pause per introspezioni psicologiche. Entrambe devono essere funzionali alla caratterizzazione dei personaggi. L’alternanza di questi due registri è un altro dei punti forti di Di Marino.
Come nei migliori racconti di Elmore Leonard, la parte forte del ritmo spetta ai dialoghi. Secchi, asciutti, essenziali, così come lo sono le descrizioni e il narrato.
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