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Recensione : Cults – Cults

Cults - Cults: Di loro si parla molto già da parecchi mesi come la nuova imperdibile rivelazione dell'anno. I Cults sono solo due perso...

Cults – Cults

Di loro si parla molto già da parecchi mesi come la nuova imperdibile rivelazione dell’anno. I Cults sono solo due persone, Brian Oblivion e Madeline Follin, coppia di San Diego trapiantata a New York unita nel disco così come nella vita. Un EP pubblicato lo scorso anno li aveva già portati all’attenzione del web, fino all’ambita sezione ‘best new music’ di Pitchfork, ma è stato l’incontro con l’etichetta In The Name Of (fondata da Lily Allen con il sostentamento della Sony Music) a portare alla luce il primo vero lavoro, dal titolo omonimo.

Tocca a loro quest’anno portare avanti la tradizione del disco super orecchiabile da ascoltare preferibilmente in loop e, va detto, riescono a farlo in modo efficace ed originale. Il sound dei Cults infatti si discosta parecchio dalla maggior parte della scena indie internazionale (soprattutto da quella tradizionalmente influenzata dal fenomeno dell’hype mediatico) ed è fatto di voci distorte, xilofoni in sottofondo e atmosfere a volte psichedeliche a volte fortemente ispirate agli anni ’80. Malgrado la palese immediatezza delle melodie del disco queste richiedono però qualche ascolto prima di essere totalmente metabolizzate e non arriva subito al primo colpo così come fanno invece gruppi come gli Yuck (tanto per citare un’altra band-rivelazione di quest’anno).

Il disco parte subito in quarta con tre singoli che puntano, con successo, al divertimento immediato: “Abducted”, in cui è la voce di Madeline ad urlare un ritornello appiccicoso che difficilmente si riesce a togliere dalla testa, “Go Outside”, con un sottofondo musicale più delicato a cui si aggiungo voci che ricordano gli urletti corali degli Avi Buffalo, e “You Know What I Mean”, ballata lenta che non rinuncia però ad un ritornello trascinante. Seguono “Most Wanted” e “Walk At Night”, due ballate scappate direttamente dagli anni ’80, e “Never Heal Myself”, traccia meno monotona dalle atmosfere più romantiche ma allo stesso tempo più coinvolgenti. Quindi una tra le cose migliori del disco, “Oh My God”, forte di un sottofondo rumoroso e affollato ma energico. “Never Saw The Point” si rifà invece a sonorità da spiaggia californiana ed è seguita da “Bad Things”, brano più inquieto e ripetitivo, e “Bumper”, in cui ritornano le sonorità spensierate anni ’60 e in cui si aggiunge la voce di Brian. Chiude il disco con un tocco di malinconia, quasi a compensare l’eccesso di energia all’inizio, “Rave On”, giocata su un ritornello corale e melodie sghembe in sottonfo.

Come spesso accade, anche questa volta l’hype ci ha visto giusto e ai Cults vanno riconosciuti indubbiamente alcuni meriti. Intanto quello di aver confezionato un disco che diverte l’ascoltatore in tutti i suoi minuti di durata ma anche di averlo fatto con formule musicali che escono dal seminato del già sentito (soprattutto per quanto riguarda quest’anno). Un disco come questo si lascia ascoltare più e più volte con piacere e, seppur non stravolgendo la vita con trovate o concetti geniali, fa guadagnare a Brian e Madeline un posto di diritto nella lista degli artisti più interessanti dell’anno.

01 Abducted
02 Go Outside
03 You Know What I Mean
04 Most Wanted
05 Walk At Night
06 Never Heal Myself
07 Oh My God
08 Never Saw The Point
09 Bad Things
10 Bumper
11 Rave On

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