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Confessioni Di Una Maschera – Scary Monsters (and Super Creeps)

Guardando a ciò che succede da tredici lunghi mesi a questa parte, non posso non tornare a dichiarare pubblicamente il mio disprezzo per chi indottrina, in modo quasi radicalizzante, menti inflaccidite, e pronte all'inoculazione di ogni sorta di delirio, in nome di un risveglio rivoluzionario.

Confessioni Di Una Maschera – Scary Monsters (and Super Creeps)

CONFESSIONI DI UNA MASCHERA
MARZO DUEMILAVENTUNO
“SCARY MONSTERS (AND SUPER CREEPS)”

 

 

Guardando a ciò che succede da tredici lunghi mesi a questa parte, non posso non tornare a dichiarare pubblicamente il mio disprezzo per chi indottrina, in modo quasi radicalizzante, menti inflaccidite, e pronte all’inoculazione di ogni sorta di delirio, in nome di un risveglio rivoluzionario. È un atteggiamento che non mi stancherò mai di considerare meschino, e da cui non smetterò mai di prendere le distanze. Ma non è a loro che rivolgo questa volta i miei strali. Non ho intenzione di perdere tempo dietro agli affabulatori di bassa tacca. La mia attenzione è rivolta altrove, verso una fenomenologia che, almeno in parte però, ricalca il loro modus operandi, e che considero altrettanto spregevole a livello intellettuale.

Ci sono stati recentemente alcuni episodi su cui è inutile adesso tornare [anche perché non siamo qui a fare processi ai singoli creando gogne mediatiche, ma ragioniamo sulle idee] che mi spingono a riflettere su quanto accaduto. L’alternativa sarebbe stata un editoriale completamente dedicato alla morte di Lars Goran Petrov degli Entombed, ma sono da sempre convinto che il dolore sia una cosa estremamente soggettiva e che gli epitaffi migliori siano quelli che ognuno si porta dentro senza renderli pubblici mostrandoli come un trofeo.

Si parla continuamente di ribellione. Termine che ha inevitabilmente finito per perdere ogni suo significato, soprattutto perché viene stabilmente declinato mentre siamo comodamente seduti davanti al computer, e non più portato in piazza in modo concreto, coi fatti. Ed è proprio in nome di questa presunta vena ribelle che sento la necessità di dovermi fermare a riflettere. A voce alta.
È fin troppo facile andare a sollecitare il ventre molle di internauti impigriti, prendendoli per le viscere e portandoli dove ci fa più comodo che stiano, in nome di dinamiche ribelli che di ribelle non hanno proprio nulla. È un gesto che, nella sua scorrettezza ideologica, rappresenta una caduta cui troppo spesso ultimamente assistiamo, a tutti i livelli. Non ultimo purtroppo quello musicale. La politica ha fatto scuola in questo senso, le cronache abbondano da anni di esempi perfettamente calzanti relativi ad ameni personaggi che per alimentare il proprio ego e il proprio tornaconto hanno giocato e giocano sui sentimenti meno nobili e più a buon mercato.

È fin troppo facile giocare al massacro con chi non sospetta minimamente che dietro ad ogni azione c’è sempre una motivazione poco lecita e sicuramente ben mascherata, di cui la maggior parte della collettività è all’oscuro, abituata in ambito musicale alla solidarietà, alla spontaneità, e allo scambio gratuito di idee, contenuti e materiale.

Ma la cosa in assoluto più facile sta nel fatto di ergersi a paladini di uno schieramento eterogeneo di persone di cui non ci interessa nulla, mossi solamente da interessi personali, indirizzati decisamente altrove, di certo in direzione centrifuga rispetto a ciò che fingiamo di combattere. Questo, unito allo squallido tentativo di mascherare ulteriormente il nostro tentativo, fingendo cioè di non dare una connotazione ed una colorazione politica ad iniziative che ne sono invece il pilastro fondamentale, è il segnale di una disonestà intellettuale, tanto conclamata quanto innegabile. Qui entra in gioco la dignità di chi sostiene e supporta tali iniziative. Qui si misura lo spessore morale di chi per una visibilità tutta da dimostrare vende la propria dignità al primo arrivato. Qui ci si guarda davvero allo specchio senza la possibilità di mentire a noi stessi. Qui vi aspetto, con le mie domande a cui non risponderete mai.

Ovviamente per sublimare l’ego cercando di aumentare le fila dei propri sostenitori inconsapevolmente eletti a sudditi, occorre fare fronte comune, rinsaldando le fila con argomenti di facile presa in un momento come questo di totale confusione. Quale motivazione migliore quindi di quelle legate al covid-19 per scatenare gli istinti più primordiali?
Trovo sinceramente disgustoso sentir parlare di “dittatura sanitaria” da parte di chi cerca di arroccarsi in posizioni di comodità mandando allo sbaraglio gli altri, fomentandoli per lotte intestine in seno ad una collettività che dimostra ogni giorno sempre maggiore disgregazione ed isolamento. È il modo migliore per infilarsi nelle maglie di un tessuto sociale che vede le proprie crepe allargarsi progressivamente e costantemente. La realtà delle cose imporrebbe un ragionamento più ampio, meno frettoloso e meno schierato, ma questo significherebbe dover ammettere di avere torto e rivelare che si sta cavalcando l’onda di una protesta per fini personali. Un qualcosa che, capite perfettamente anche voi, è assolutamente impensabile. A nessuno piace la piega che ha preso la storia in questi ultimi tredici mesi, me compreso, ma non possiamo stare dietro a chi parla di dittatura perché non è in grado di riuscire a capire che le cose sono molto più complesse di quanto immagina, o perché lo fa come detto per lucrare sulla situazione.

È irricevibile provare costantemente a ridurre tutto a un dicotomico scontro solo parzialmente ideologico. Esiste anche il grigio, non solo il bianco e il nero. E le sfumature sono da sempre ciò che fa la differenza nella maggior parte dei casi, in ogni ambito. Non ci sono dittature verso cui ribellarsi. Le parole sono importanti, occorre usarle in modo corretto e onesto. A volte mi piacerebbe davvero svegliarmi una mattina con i carri armati nelle strade, per vedere se gli stessi che oggi dalla privilegiata terrazza con vista sui social network urlano ribellione invocando la “libertà”, sono pronti a scendere in piazza per manifestare contro il colpo di stato.

Il mondo ha scritto la sua storia con il sangue di chi in nome di un ideale ha sfidato il potere guardandolo in faccia, non con un post su Facebook o un selfie senza mascherina.
La situazione che si protrae da tredici lunghi mesi è insostenibile per molti di noi, per svariati motivi, non necessariamente tutti legati all’aspetto economico. Non siamo qui a giustificare nessuno o le scelte prese fino ad oggi. Siamo qui per cercare di capire e di far capire che i quesiti che ci poniamo quasi quotidianamente sono di un portata al di sopra delle nostre conoscenze. Saranno come sempre il tempo e la storia a raccontarci come andrà a finire e perché. Noi possiamo solo aspettare cercando di non esasperare ulteriormente gli animi, e di non giocare squallidamente con problemi a cui non siamo ancora in grado di dare una risposta.

Noi siamo soliti parlare di ciò che conosciamo in modo diretto, tangibile, di quello che è il nostro vissuto, del frutto delle nostre esperienze quotidiane. Non possiamo accettare di scendere allo squallido livello di chi dietro ad un doppiogiochismo moralmente inaccettabile sfrutta il chaos per trarne vantaggio, per fare proselitismo, per ergersi a primo della classe. Chi cavalca la pandemia per i propri fini è per noi quanto di peggio si possa trovare. Ma è ancor peggio chi, finge di non vedere e dà corda a queste dinamiche corrotte. Non riusciamo a trovare una giustificazione per tutti coloro che non hanno il coraggio di mettere in dubbio l’onestà intellettuale di chi si erge a capo di una rivoluzione che non esiste. Forse un tempo, ma oggi, con gli strumenti tecnologici di cui disponiamo non è ammissibile una tale passività mentale.
Si continua a parlare di “dittatura” in nome di una mancanza di libertà che sarebbe manifesta. Quello che ci chiediamo noi, è di quale libertà stiamo parlando? Tornare a mangiare al ristorante o andare a sculettare in palestra ci renderebbe liberi? La libertà è uno stato mentale, non un qualcosa di oggettivo facilmente misurabile. Se non siamo liberi dentro non lo saremo mai nella vita, in qualunque situazione ci troveremo, oggi domani sempre. La libertà è dissentire. È pensare. È agire. Non tornare al ristorante, in palestra, al cinema. È l’attitudine con cui affrontiamo le dinamiche che ci si presentano a definire se siamo liberi. Non il numero delle cose che possiamo fare durante la giornata. Questa è l’unica libertà che difendiamo e che difenderemo, non quella minacciata dall’uso forzato delle mascherine come sostiene qualcuno.

Ma soprattutto, c’è libertà in assenza di dignità? Non crediamo proprio, dal momento che giusto per restare sull’argomento della ribellione sonora, quale dignità può esserci in chi si vende per 4 minuti in una compilazione digitale negando l’impronta decisamente politica della stessa? Vale la pena fingere di non vedere l’evidenza dei fatti per un’elemosina sonora di questa portata? Fino ad ora nessuno ha risposto e siamo certi che nessuno risponderà… meglio giocare a fare i ribelli.

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2 risposte

  1. La libertà forse non è andare a mangiare al ristorante, ma poterci andare se lo si desidera sì, senz’altro lo è. Come poter organizzare e andare a un concerto o sconfinare dal proprio comune per passeggiare nel bosco.
    Chissà se l’autore avrebbe visto un problema di libertà nel Terzo Reich, in fondo se l’attitudine e lo “stato mentale” restavano liberi che problema ci sarebbe stato?

  2. Mah, per carità, nulla da eccepire sul discorso che è eccessivo parlare di dittatura sanitaria e che strumentalizzare una tragedia (sociale, sanitaria, culturale) del genere per creare fazioni o trovare visibilità è esecrabile (poi non so se i riferimenti sibillini nel testo siano riferiti a qualcuno in particolare, ma il discorso di principio torna comunque).

    Però il discorso finale sulla libertà rovina gran parte del buono scritto fino a poco prima. Provvedimenti come il coprifuoco alle 22 tutti i giorni alla settimana, con ogni luogo di aggregazione sbarrato da mesi (chissà senza coprifuoco che folla, di inverno, un lunedì sera alle 23…), non hanno nulla a che vedere con un qualsiasi tipo di tutela dal virus, e se senz’altro la dittatura è ben altra cosa, si tratta ugualmente di limitazioni alla libertà personale che probabilmente gli stessi che ora cianciano di “stato mentale” libero avrebbero (giustamente) visto come una repressione inaccettabile fino a pochi anni fa.

    Sembra che la nuova moda negli ambienti alternativi sia quella di far vedere a tutti di essere “diventati grandi”, con questo che sostanzialmente coincide con l’essere ligi a qualsiasi tipo di potere, una sorta di specchio rispetto al vacuo e indistinto “fuck the system” dei tempi che furono. Un po’ del tipo “oh, faccio musica kattiva, ma io sono buono”.

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