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Confessioni Di Una Maschera : Insane Asylum

Non possiamo pensare che la gente vada in piazza per un piatto di carbonara e non perché si creano cittadini di seria A e di serie B.

Il tempo passa, costante e spietato come sempre, ma non riesce a spazzare via la pesantezza di una stagione interminabile, nata e cresciuta all’ombra di un’emergenza sanitaria, che ancora caratterizza negativamente le nostre giornate. Qualunque tipo di considerazione verte intorno a tutto ciò che sta succedendo, che volenti o meno continua a condizionare ogni nostro pensiero. “L’eternità di un’estate terribile” si cantava una manciata di anni fa nella “capitale del male”. Mai come oggi torna ad essere attuale un refrain come quello dei due seminatori d’odio.
Che il pianeta sia alle prese con una crisi sociale (e psichica) avanzata, e forse irreversibile, è cosa nota da tempo. La gestione, o meglio, la reazione, individuale e collettiva, all’emergenza sanitaria ha solo accentuato queste difficoltà, andando a tracciare un solco tanto profondo quanto invalicabile tra le varie realtà sociali. La frattura è sanabile? Difficile trovare una risposta netta e univoca. Come altrettanto difficile risulta guardare ai fatti di tutti i giorni senza dover fare delle precisazioni.

Occorre costruire un’analisi che scinda ed esuli dal binomio vaccino si/vaccino no, e che guardi al green pass come ad uno strumento classista, che in nome del profitto aumenta le distanze sociali, oltre che ripensare allo strumento di sviluppo troppo votato al consumismo, che, oggi più che mai, ha mostrato la sua totale insostenibilità.

La mia è una visione assolutamente parziale della realtà, e non potrebbe essere altrimenti, visto che sono parte di quel settore che più da vicino ha vissuto e vive a contatto con l’emergenza sanitaria. Faccio parte di quelli che un anno fa erano “eroi” e che oggi fanno parte di “quell’élite neonazista e satanica asservita al nuovo ordine mondiale” [cit.].
Non sono qui per fare proselitismo, nè per rivendicare un ruolo che sottintenda una maggiore veridicità della situazione, scrivo quelle che sono (state) le mie sensazioni, quello che sento di dover dire. Non voglio convincere nessuno, non mi interessa. Credo nell’inviolabilità dell’intelletto altrui, per cui lascio vivere ognuno nel modo che ritiene più consono a quelle che sono le proprie necessità. Ci tengo però a precisare come si debba necessariamente distinguere due piani di ragionamento che vengono (molto spesso volontariamente e maliziosamente) sovrapposti per creare ancora più confusione. Da una parte sta il vaccino e da un’altra il green pass.

Questo è fondamentale per proseguire nell’analisi. Non riconoscere questo postulato di partenza significa violare quello che considero l’unico requisito necessario per intavolare qualsiasi tipo di ragionamento, ovvero l’onestà intellettuale. Sia di chi scrive che di chi legge.
Le dinamiche che si muovono intorno a questi due ambiti sono e devono restare separate, pur se in parte (innegabilmente) consequenziali.

Se, come detto, la mia è un’analisi che verte sull’esperienza diretta in ambito ospedaliero, non posso non riconoscere come (al momento) unica la via tracciata tramite la vaccinazione. È la stessa scelta che ho compiuto trenta anni fa che mi impone di vedere le cose in questa direzione. Non ci sono e non ci possono essere altre chiavi di lettura. Non ho problemi ad ammettere di aver avuto più di un dubbio nel momento in cui si è prospettata la necessità (e il dovere morale) di aderire alla campagna vaccinale, ma è anche vero che da tre decenni sposo questa linea di condotta, per cui ben sapevo che alla fine avrei aderito. Non ho al tempo stesso idea di come un “non sanitario” possa approcciarsi alla questione proprio per il fatto di essere ormai entrato in un’ottica che mi porta a ragionare in un certo modo.

Ben diversa è la mia posizione sul green pass.

Detto che continuo a considerare inviolabile la libertà altrui in ogni ambito, non posso perciò non vedere il green pass come uno strumento decisamente classista. Da qui però a condividere le piazze e le proteste afinalistiche di chi si è buttato a capofitto in questa situazione ce ne passa. C’è un mondo nel mezzo che separa le due cose. E che deve continuare a separarle.
Ho letto e continuo a leggere (non fosse altro per rimarcare la distanza che ci separa) i deliri dei canali Telegram che si occupano di gettare benzina sul fuoco della protesta. E mai come oggi mi sento in dovere di chiarire la mia posizione. Rabbrividisco nel leggere gli interventi che quotidianamente agitano la rete, e non posso non pensare, anche se non vorrei, che si tratta di posizioni figlie da un lato di un’ignoranza abissale e dall’altro di una rivalsa sociale che mira a colpire indistintamente chiunque abbia un ruolo socialmente riconosciuto. Il nemico è ovunque, basta che abbia una propria precisa collocazione.

Manca sostanzialmente la coscienza di classe che possa portare a capire che si tratta di una misura che discrimina l’essere umano in quanto tale, creando squilibri sociali. Il ragionamento va ben oltre quello che è il refrain più in voga in questi ambiti. E cioè quello di rivendicare il proprio diritto ad andare al ristorante, al pub o al cinema. Non è questo il punto della questione. Non sarà una pizza a cambiare le sorti del pianeta. Le posizioni all’interno di questi “movimenti spontanei” sono totalmente acritiche, l’unico vero obiettivo è quello di andare a colpire chi, per scelta o solamente per adesione a quelle che sono le normative vigenti, si sono adeguati ai dettami del legislatore. La rivolta non può essere a colpi di shit storming su Tripadvisor ai danni di quegli esercizi che si sono “messi in regola”.
Il ragionamento deve essere più ampio. Queste sono posizioni francamente inaccettabili, per non dire adolescenziali. Sono però al tempo stesso il segnale che si è andata a delineare (e a scoprire) una realtà sociale di grande disagio, che però non guarda alla collettività ma tende a ragionare in modo individualistico, “di pancia”, volta a una libertà che ci consenta di tornare alla vita di prima, scandita da palestre, aperitivi, centri commerciali e ristoranti, senza capire che il problema stava proprio in “quella” normalità, che era tutto tranne che normale e socialmente sostenibile.

Non possiamo pensare che la gente vada in piazza per un piatto di carbonara e non perché si creano cittadini di seria A e di serie B. Mi rifiuto anche solo di pensarlo. Se poi vogliamo andare a fondo alla questione, questa distanza tra le varie classi sociali è in atto da parecchio, ma abbiano fatto finta di non vederla troppo presi dai cellulari che esibiamo tra le mani anche quando siamo a tavola. Troppo presi dalla voglia di metterci in mostra, di sovraesporci, per accorgerci che mentre noi postiamo foto sui social network ci sono fabbriche che chiudono, famiglie che perdono il reddito e interi settori destinati a scomparire. A noi interessano i followers, che ci frega se il vicino di casa è disoccupato.

In merito al vaccino mi sento di dover lasciare totale libertà di scelta alla cittadinanza. Per assurdo mi sento totalmente indifferente riguardo la scelta altrui. La mia posizione, la mia etica, la mia professione mi impongono di guardare oltre questa dicotomia. In qualunque caso, sarò sempre e comunque pronto a prendermi cura di chiunque capiti nella mia unità operativa indipendentemente dalla scelta che abbia fatto in precedenza. Il mio compito sarà svolto in modo assolutamente identico.

Cambia però totalmente l’approccio nei confronti del personale sanitario che sceglie di non vaccinarsi. Chi ha scelto questa professione si pone come fine quello di salvaguardare la salute altrui. Ancor prima che la propria. Scegliere di non mettersi nelle migliori condizioni possibili per evitare di arrecare danno agli altri va inevitabilmente contro questa scelta. Non è quindi importante preservare la propria salute, di quella ognuno fa ciò che crede. Occorre al contrario guardare agli altri, a quelli che in condizione di precarietà si rivolgono a noi e al nostro operato.

In questo senso è per me inaccettabile l’esistenza di queste figure, di questi finti ribelli. La ribellione è un’altra cosa, molto distante dal dire no al vaccino. È uno stato mentale che sottintende una profondità di ragionamento decisamente più elevata. Ma questo è un discorso più complesso che affronteremo prossimamente.

Tutte le Confessioni della maschera

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3 risposte

  1. Lo scritto è molto lucido e va ben oltre i soliti canoni di ragionamento sugli argomenti trattati. I mass media stanno dando la caccia al devil folk,attuale, ovvero il non vaccinato che è causa di ogni male. Dopo una gestione disastrosa della pandemia, prima di tutto in termini psichici, si è scelto la via della vaccinazione come uscita dalla pandemia, Non essendo un medico e avendo poche conoscenze mediche non posso assolutamente dire se sia giusto o no. Guardando intorno a me penso sia anche giusta come conclusione, ma come spesso succede il governo ha puntato solo in questa direzione, dando meno importanza alle cure domiciliari ed ad altro. Come al tempo della chiusura, basta con sto cazzo di lockdown, si scaricò tutto su chi correva per preservar la propria salute o chi portava fuori il cane, ricordiamoci l’intervento con l’elicottero dei finanziari in diretta sul programma della D’Urso per inseguire una singola. La colpa è sempre della gente, non di chi ci governa, e non si vedono cambiamenti di sorta all’orizzonte. In questo clima la polarizzazione opposta al vaccino e alla narrazione imperante è in parte un’opposizione gridata e che non vedeva l’ora di cavalcare qualche disagio grosso che poi è puntualmente accaduto. Dall’altra parte molti dei vaccinati è intransigente tanto quanto la loro controparte, contribuendo da annullare il dibattito che sarebbe invece molto importante. Ci aspettano tempi molto duri, e già li stiamo vivendo, nell’impossibile speranza di un ritorno alla normalità che non ci sarà mai più..

  2. Il muro contro muro è funzionale per non far prgredire una discussione che non deve esistere per molti dei componenti delle due parti.

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