Parlare di un disco death-doom pubblicato da una band giordana potrebbe apparire come una curiosa anomalia, ma i più attenti tra gli estimatori del genere sanno benissimo che la nazione mediorientale, pur con tutte le comprensibili difficoltà del caso, mette in mostra una delle scene più vitali tra quelle che si trovano al di fuori delle consuete aree geografiche.
Non è un caso, infatti, se solo un anno fa in questa stessa sede avevo avuto l’opportunità di parlare del bellissimo esordio dei Falling Leaves e se gli ottimi Bilocate si erano meritatamente guadagnati già nel 2007 una certa notorietà al di fuori dei confini nazionali grazie a un lavoro come “Sudden Death Symdrome”.
I Chalice Of Doom, che completano idealmente questa triade di band provenienti dalla Giordania, sono attivi dal 2010 e già con il loro esordio nel 2011, “Immemorial Nightfall”, avevano destato grande interesse ed ottenuto riscontri del tutto positivi; in Into Hypnagogia le piccole sbavature mostrate nella precedente uscita scompaiono del tutto per lasciare spazio a un disco maturo e nel contempo di grande intensità e qualità, sia dal punto di vista musicale sia da quello lirico.
Death Gown conquista subito l’attenzione grazie alle sue linee chitarristiche dolenti, ma è con la successiva Shaheed che i ragazzi giordani ci regalano una dei brani più toccanti e coinvolgenti ascoltati negli ultimi tempi: l’applauso ritmato di una folla urlante lascia immediatamente spazio a una melodia in grado di toccare le corde più profonde dell’animo (Ahmad svolge un magnifico lavoro alla chitarra solista) prima che il profondo growl di Fares si impadronisca della scena, vomitando con tutta la rabbia del caso il dolore e lo sgomento che, chiunque sia dotato di raziocinio, prova per le vittime innocenti degli inutili e apparentemente interminabili conflitti che hanno insanguinato il medio-oriente negli ultimi decenni (“Six decades of inhuman torment / Genocides consumed our eyes / Will the children forgive the fathers /For everything they did and said ?”).
Shaheed (che significa “martire”) racchiude nella sua parte centrale momenti preziosi nei quali la musica araba si fonde magicamente con le cupe partiture del death-doom, prima che il brano si concluda così come era iniziato, riconsegnandoci alla tristezza e, auspicabilmente, alla ritrovata consapevolezza di ciò che è accaduto e continua ad accadere in parti del mondo relativamente vicine a noi geograficamente, ma che ci appaiono talvolta lontane anni luce.
Collocando quest’autentica perla musicale nella parte iniziale di un album piuttosto lungo come è Into Hypnagogia, tutto ciò che viene dopo rischia seriamente d’essere penalizzato; così non è, fortunatamente, grazie al songwriting ispirato dei Chalice Of Doom e così, se Dyer Of Dusk (impreziosita anch’essa da una chitarra da pelle d’oca) riprende in qualche modo la struttura di Death Gown, Profound fonde sapientemente Saturnus e Opeth, in una perfetta alternanza vocale e sonora, mentre Against The Wind racchiude al suo interno un’efficace parte affdiata al flauto, che fornisce al brano un sapore quasi prog, con la ciliegina sulla torta del contributo vocale di Marius Strand (The Fall Of Every Season).
Flauto che caratterizza anche la drammatica Bridesmaid Of The Woods, alla quale fa seguito la più contemplativa The Coin Fountain, caratterizzata da un bel duetto vocale, che costituisce un momento di transitoria quiete prima che il terrificante growl dell’ospite Rogga Johansson (Paganizer, The Grothsquery, the 11th Hour) si impadronisca della scena per contribuire alla riuscita del brano più cupo ed opprimente dell’intero disco.
Per completezza d’informazione (e soprattutto per non fare un torto agli artisti in questione) è doveroso citare la partecipazione in qualità di ospiti anche di Maria Zvyagina (Falling Leaves, ex Wine From Tears) e Giampaul Andrianopoulos alle tastiere, della vocalist Christina Kroustali e del flautista Majd Qewar.
I Chalice Of Doom appartengono al versante più malinconico ed emotivo del death-doom, e si vanno ad inserire di diritto in quel segmento stlistico che vede quali principali interpreti, tra gli altri, Saturnus, Swallow The Sun e Officium Triste, ma Into Hypnagogia non vive certo di soli spunti ed influenze altrui: la band giordana brilla di luce propria, non solo grazie all’aura arabeggiante che aleggia costantemente sul lavoro anche quando non è direttamente percepibile, ma anche e soprattutto al gusto esibito negli arrangiamenti e nella naturale alternanza tra atmosfere plumbee ed altre più ariose, pur se costantemente accomunate da una patina malinconica.
I cinque ragazzi di Zarqa (che, vale la pena rimarcare, hanno tutti un’età compresa tra i 20 e i 25 anni) non sono più solo una concreta speranza ma, con questo loro ultimo lavoro, dimostrano d’essere ormai a pieno titolo una splendida e consolidata realtà.
Tracklist:
1. Lucid Incubus
2. Death Gown
3. Shaheed
4. Dyers Of Dusk
5. Moonflower
6. Profound
7. Against The Winds
8. Bridesmaid Of The Woods
9. The Coin Fountain
10. Shame, Written In Blood
11. Death Apnea
Line-up :
Ahmad Seffo – guitars (lead), bass
Tariq Khasawneh – guitars (rhythm)
Muhammad Jaber – drums
Fares Swedan – vocals (growling)
Azmo Lozmodial – vocals, narration, keyboards