Bentornate ragazze! Ci è voluta la bellezza di ventisei anni di attesa per riavere tra le mani (e i timpani) nuovo materiale discografico delle riunite Headcoatees – quartetto britannico composto da Ludella Black, Kyra La Rubia, Bongo Debbie e Holly Golightly – il cui ultimo studio album risaliva, infatti, a “Here comes cessation” del 1999.
In origine formata, nel 1991, dal mitico Billy Childish (che affidava a loro le canzoni che non trovavano posto negli album dei suoi innumerevoli progetti) come backing group/banda sorella gemella per i suoi Headcoats (con cui andavano regolarmente in tour insieme) la band, parte della Medway scene, ha poi intrapreso un proprio percorso come all-female garage rock vocal group, pubblicando sei Lp e una compilation di singoli prima dello scioglimento avvenuto poco prima dell’avvento del nuovo millennio (con le nostre che si dedicarono al registrare e cantare in altri gruppi e/o a iniziare un percorso solista, in particolare la Golightly, autrice di ben nove dischi in proprio, di cui l’ultimo pubblicato proprio quest’anno, e collaborazioni come quella coi White Stripes). Quest’anno sono ritornate con il loro settimo full length complessivo, “Man-trap“, corredato anche da due Ep, il tutto uscito su Damaged Good Records.
Influenzata dalla vintage pop culture, dal garage rock, dall’R&B e dal Sixties beat di Kinks, Pretty Things, Shangri La’s e Downliners Sect, l’ensemble del Kent torna con un album (prodotto sempre dal loro mentore Childish) con quattordici pezzi dal piglio fiero e risoluto, e un sound immediato e ruvido. Alla generosa selezione di cover (omaggiati i Ramones con due ottime versioni di “The KKK took my baby away” e “He’s gonna kill that girl“, gli Stones con “Paint it, black“, i Dead Moon con “Walking on my grave” e la grintosa sorpresa di “The money will roll right in” dei Fang) presenti, come di consueto, nei loro full length, si accompagnano brani scritti dal menestrello del Kent quali la title track e “Moderns terms of abuse” (già presenti anche nel repertorio degli Headcoats) il garage rock vibrante di “Signals of love“, “I can’t find pleasure“, “The double axe” e “Jim Bowie“, al quale fa da contraltare la malinconia autunnale di ballad come “Sex and flies” e la drammatica intensità di “Fire in the mountains” (uno dei brani, con “Becoming unbecoming me” risalenti al progetto Childishiano, di ispirazione Dylaniana, The William Loveday Intention) con tanto di lavoro di archi a corredo.
Ne è valsa la pena di aspettare, e “Man-trap” si attesta come una delle uscite più importanti del 2025 – dato il gap intercorso tra il penultimo disco delle Headcoatees e quest’ultimo, che concilia la proverbiale esuberanza del genere con un songwriting più profondo ed elaborato – e uno dei ritorni più elettrizzanti della storia recente del garage rock. Welcome back to Girlsville!










