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Recensione : I Fasti – Morula

I Fasti - Morula: I Fasti: due bassi, due pc, una chitarra e una voce. Da questa interessante ricetta torinese nasce "Morula", tre canzon...

I Fasti – Morula

I Fasti: due bassi, due pc, una chitarra e una voce. Da questa interessante ricetta torinese nasce “Morula”, tre canzoni e quattro racconti, acquarelli al vetriolo tra impegno e stati d’agitazione.
Dopo “Ovatta” (2010), il loro primo disco, ecco cosa bolle in pentola: un esperimento (quasi) riuscito.

Una drum machine “…e fuori la peste” direbbe qualcuno: I Fasti non lasciano scampo e immediatamente colpiscono al ventre con il vuoto pneumatico di “Cadono piogge”, manifesto sanguinante della loro poetica: ” bacio ora qualunque sconfitta, perché non rinunceremo a piangere e non rinunceremo a ridere, a sfiorarci i capelli e ad accarezzarci il viso”. I bassi chitarrosi sono lì ad erigere muri di desolazione, lo sporco, la disperazione delle chitarre ipernoise, sul finale, rade al suolo le speranze; una pioggia baudelairiana ci confina tra le sue sbarre.
“Cagnolini di gesso” con il suo ritmo incalzante e sostenuto deve forse un po’ troppo ad altri (Offlaga Disco Pax, il Capovilla più recitante alla Carmelo Bene e il Marco Paolini dei dischi con i Mercanti di Liquore…); il tono un po’ troppo declamato, le suggestioni tenute insieme da un labile (forse troppo labile?) fil rouge, l’arrangiamento meno espressivo rispetto alle altre tracce rendono il brano un poco faticoso.
Conclude il cerchio musicale dell’opera “Morula”, sentito compianto per una comunità (se di comunità ha ancora senso parlare) che sempre più si volge in direzione dell’indifferenza, dell’ abitudine, dell’ orrore quotidiano. Sembra di sentire il Max Collini più ispirato (“Piccola Pietroburgo”, “Sensibile”…), la scrittura raggiunge alte vette: “… pur di non sentire quello che le carni, quello che le viscere sussurrano, pur di rientrare nella grande famiglia della norma”. L’intento espresso di aprire ad una “nuova prospettiva” sembra porsi nel solco di quello che alcuni hanno chiamato “Neosensibilismo”. Onore al merito.

I quattro racconti che completano il curioso frutto degli sforzi della band torinese (“I ricchi paghino”, “La fabbrica degli scrittori”, “Loro possono!!!95 Riforma Dini”, “Gatti, palloncini… per noi, per coloro che saranno”) scritti da Rocco Brancucci ( voce de I Fasti) e Paola “Anika” vivono di un profondo senso civile e impegno sociale, che cerca di colpire alla base del generalizzato letargo politico (nel senso etimologico del termine) che infesta e aleggia come uno spettro sulla nostra penisola. La scrittura però, risulta meno incisiva che nei testi dei brani, meno calibrata, meno esplosiva.

Un’ idea niente male, un libro-disco che si fa apprezzare nella sua materialità e sincerità, nel suo taglio “autoprodotto”, un’ opera diretta, onesta, senza fronzoli o esagerazioni; a volte risuonano un po’ troppo gli echi massimovolumiani e discopaxiani, manca un poco di “personalità sonora”, d’ inconfondibilità; un qualcosina in più circa la cura dell’ “insieme” non avrebbe guastato, tuttavia essendo un disco registrato in presa diretta in “un pezzo di notte”,come loro stessi ci raccontano, probabilmente c’è sotto una precisa scelta di immediatezza e “violenza” d’espressione.
Resto curioso per le future e “nuove prospettive”!

I Fasti-Morula

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