Titolo: Vermiglio
Regia: Maura Delpero
Produzione: Italia/Belgio/Francia
Anno: 2024
Durante l’ultimo anno della Seconda guerra mondiale, un disertore – un soldato siciliano – trova rifugio in Trentino, a Vermiglio, un paese montano a pochi chilometri dal confine austriaco, riportando in salvo, a casa, un commilitone ferito, caricandoselo sulle spalle per chilometri.
Vermiglio è il luogo originario del padre della regista.
Un film su:
- la povertà e il lavoro duro, specie quello delle donne;
- la diffidenza nei confronti di chi non è allineato al sistema;
- l’orgoglio contadino;
- il bisogno dell’uomo di affermare la propria potenza;
- l’emancipazione;
- la mortalità infantile;
- la presa di coscienza.
Da vedere perché si tratta di un film sulla guerra dove la guerra, però, non si vede mai, nonostante se ne percepiscano gli effetti: la povertà, la lontananza da casa, la morte, la paura, il cambiamento in chi è tornato.
I bambini e soprattutto le donne relegate ai margini della vita pubblica – costrette a subire tradizioni sociali e religiose, leggi scritte e non scritte – trovano sfogo nel confidarsi la sera bisbigliando nei lettoni comuni, confrontandosi con domande e risposte, scambi di segreti e costruendo quella che per loro è la vera lettura della giornata e della vita.
Interessante il finale dove ci viene presentata una sorta di ribaltamento dei ruoli tradizionali per cui le donne iniziano una ribellione: chi fumando, chi decidendo di andare a lavorare in città abbandonando il figlio, chi mettendo in discussione il comportamento del marito.
Dedicato a chi non ricorda più cosa vuol dire vivere in tempi di guerra.
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