Una matassa di voce, chitarra, basso, batteria e synth ti assale all’ascolto senza mai negarti il piacere della melodia e il naufragar m’è dolce in questo mare dove tutto si confonde formando un suono unico, indivisibile.
Raramente capitano piaceri così intensi in un disco, tanto vale restare qui, a galleggiare, lasciarsi condurre alla deriva dalle frequenze a bassa risoluzione di questo miracolo generato su bandcamp per tutti i Budget Punk che amano crogiolarsi tra suoni polverosi e mandati in saturazione.
D’altronde è tanto che aspettavamo l’idea geniale; l’abbiamo talmente attesa che, quando si è manifestata, un giorno, per caso, tra capo e collo, senza preavviso, non è stata, forse, neanche una sorpresa.
Così doveva essere. Punto e basta.
L’idea geniale ce l’ha avuta questo tipo di Portland con la sua etichetta Spared Flesh (hanno già all’attivo quel piccolo capolavoro indie Lo-Fi che è “Halbum” degli Zero Percent APR, i synth punkers Slimex e la versione americana della cassetta di Cosey Müeller del duo tedesco DAS DAS): prendere i primi quattro singoli dei Gobs, usciti solo in digitale sul Bandcamp del gruppo, e farne un’unica uscita.
A dire il vero non è che ci volesse la maga o un intelletto superiore per capire che il modello dei Gobs, e cioè fare uscire, di volta in volta, un singoletto da tre pezzi, era una dolce tortura:
dolce perché i Gobs propongono un punk rock a bassa risoluzione che è roba da maestri del genere (primo nome su tutti: gli Spits); tortura perché, ogni volta, tre pezzi soltanto lasciavano sempre quello strascico d’insoddisfazione che accomuna più i tossicodipendenti che gli appassionati di musica:
quel desiderio che accompagna l’ultima dose fino alla prossima che non si sa quando ci sarà ma, per certo, ci sarà e sarà migliore della precedente.
Difficile dire se è stata l’attesa a impreziosire, ogni volta, l’ascolto di un nuovo singolo da tre pezzi dei Gobs o proprio la qualità maestra della proposta.
Ora che tutto è messo in fila, per un ascolto che non sia frammentato, appare tutto più chiaro: è la qualità.
Punk Rock alla Spits, si diceva, ma con in più quella passione per la scarsa definizione, confini non tracciati tra uno strumento e l’altro, che aggiunge all’insieme quella cifra mesmerica, rarefatta, nebbiosa che rende quasi il tutto, tra velocità ossessive e armonie confuse tra mood generale e voce, un’esperienza, mi si conceda il termine, psichedelica.
Ascolto e riascolto tutto di filato, in loop, vinto ed avvinto e mi rendo improvvisamente conto che dal 22 Marzo del 2021 (data di uscita del primo singolo dei Gobs) abbiamo assistito, piano piano e a piccole, letali dosi, alla composizione graduale di uno dei migliori dischi dell’anno (ormai siamo a Novembre, si può iniziare ad usare facili entusiasmi senza troppa fatica).
Non capita spesso che un gruppo condivida coi suoi ascoltatori un processo così. E io, che adesso, finalmente, percepisco il divenire di un disco così bello nel suo insieme, non posso che ringraziarli di avermene reso partecipe.
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
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