Swaying Wires – I Left A House Burning

Gli Swaying Wires suonano un indie rock fragile, semplice, sincero, preciso e onesto. Dove ci sono storie da raccontare, bellezze da scoprire, futuri viaggi da accompagnare. E dove, con un po' di fortuna, rimarremo tutti intrappolati.

Swaying Wires – I Left A House Burning

Il primo aggettivo che l’ascolto di I Left a House Burning mi ha fatto venire in mente é ipnotico.

Non perché l’indie rock dei giovani finlandesi ricerchi qualcosa di “ipnotico” o psichedelico nel suono, ma perché la potenza attrattiva (e ipnotica) che la combinazione riuscita di una scarna e fragile voce con una melodia spizzicata di chitarra acustica può causare su alcuni cervelli e spiriti, resi fragili da anni di ascolti musicali di un certo tipo, è un evento che ha del miracoloso e mistico. Equivalente all’attrazione naturale e inevitabile del ferro per la calamita, delle api per i fiori, di Homer Simpson per il cioccolato, del piffero per i topi di Hamelin e via così, di povere ludiche metafore da canzone di Jovanotti. Eppure é proprio cosi, ancora prima di riuscire ad “analizzare” il nuovo disco degli Swaying Wires, già mi ci trovo incollato. Forse il problema é proprio quel verbo, brutto, stonato e sprecato: analizzare. Non c’é proprio niente da analizzare, c’è solo un disco uscito il 15 gennaio dell’anno di grazia 2016 e una band (inizialmente one woman project di Tina Kärkinen, poi diventata ufficialmente una band di 4 componenti) che riempie le sue 10 canzoni di un indie rock fragile, semplice, sincero, preciso e onesto. Dove ci sono storie da raccontare, bellezze da scoprire, futuri viaggi da accompagnare: chitarre che sussurrano, coccolano e rapiscono, il tutto con un rifiuto orgoglioso e testardo dell’elettricità (salvo memorabili eccezioni, come ogni regola che si rispetti); una voce piena di emozioni e sfaccettature, una sezione ritmica che conosce il significato della parola riservatezza, che sa stare timidamente al proprio posto ma non manca mai di mettere un accento dove necessario, un suono vecchio eppure nuovo, che non inventa niente ma cerca di evitare passaggi modaioli nelle melodie “battimani”, facilone seppur piacevoli, del nuovo folk di bands quali Of Monsters and Men o Lumineers. Forse mi ricordano i migliori Kings of Convenience, almeno nella compostezza e apparente distacco ironico. O forse no, forse mi sbaglio, non lo so, forse mi sono semplicemente di nuovo lasciato ipnotizzare. E attenzione, a non farsi incantare al punto da lasciare la casa bruciare. Forse ho almeno capito il titolo dell’album …

TRACKLIST
1 Dead Bird
2 Nowhere
3 Tuesday’s Bells
4 Surrender
5 Dreams
6 Suddenly
7 Fear
8 Hope
9 Ways to Remember
10 New Year

LINE-UP
Tina Karkinen – Vocals, acoustic guitar
Sami Lehtonen – Electric guitar/production
Nicklas Hagen – Bass
Jussi Virkkumaa – Drums

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