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Recensione : Rectified Spirit – The Wasteland

Un'apoteosi di power, death, heavy metal, sontuoso e praticamente perfetto.

Lo scorso anno scrissi, con colpevole ritardo, del primo lavoro omonimo dei Rectified Spirit uscito nel 2012, talmente bello da non poter esimermi dal condividerlo con i lettori di IYE.

Sono passati tre anni da quel monumento al metal, stupenda opera a 360°, contenitore musicale di tutti i generi sviluppatisi negli ultmi vent’anni e il gruppo di Guwahati (India), ritorna con questo magnifico e devastante secondo lavoro dal titolo The Wasteland.
Ora, mi capita sempre più spesso di parlare della scena metal asiatica e delle ottime realtà che nascono in quei paesi, sopratutto in India, e troppi sinceramente storgono il naso senza neppure ascoltare, perdendosi opere convincenti in ogni settore della nostra musica preferita, dalle sonorità estreme al metal più classico.
Un peccato, specialmente quando ci si trova al cospetto di un gruppo fuori dal comune come i Rectified Spirit, una macchina metal praticamente perfetta, superiore ad un buon numero di gruppi del vecchio continente con cui il confronto diventa imbarazzante.
Una chitarra in più , ad aiutare il buon Samudragupta Dutta nella persona di Dishankan Baruah, e band confermata in toto, con lo straordinario vocalist Rainjong Lepcha a dispensare lezioni di canto metal ad una buona fetta di singer sparsi per il mondo, debordante con il growl di ispirazione death scandinava, da applausi a scena aperta quando apre l’ugola e si trasforma nel metal singer perfetto, come già scritto l’anno scorso, una creatura metallica che racchiude nella sua voce le migliori performance del Dickinson dei tempi d’oro, il Matt Barlow di “Something Wicked This Way Come” e l’Halford di “Painkiller”.
The Wasteland, a ben sentire porta qualche cambiamento in seno al sound del gruppo: praticamente sparite le ritmiche core e meno presenti i richiami al prog metal, il gruppo accentua la componente death melodica e power, così che l’album risulta ancora più potente e devastante rispetto al suo già splendido predecessore: i brani, velocissimi e super tecnici, risultano mazzate di debordante metallo pesante come incudini lanciate da un grattacielo e che, al contatto con il suolo fanno tremare palazzi, squartano l’asfalto e fanno male, tanto male.
Ottima la scelta della band, The Wasteland non perde un’oncia in impatto e si presenta, già dal primo ascolto, come un compatto pezzo di metallo fiammeggiante, più facile nell’ascolto che il suo predecessore, ma nello stesso tempo più violento e drammatico.
La prova della sezione ritmica è sontuosa, un lavoro straordinario che valorizza la struttura di queste mirabolanti songs, che risultano una prova di forza del gruppo Indiano (Nishant Hagjer deve avere almeno tre braccia e Himangshu Borah non ho ancora capito con quante dita suona il basso).
Dutta e Baruah fanno letteralmente sanguinare le loro asce, per poi deliziarci con solos di estrazione classica dalla tecnica sopraffina, tutto questo al servizio di un songwriting esagerato.
Potrei letteralmente tediarvi con un track by track che sinceramente svilirebbe un’opera che va assaporata nella sua interezza, sappiate che da The Art Of War, opener dell’album, passando per Fireborn, The Green Goblin e Once Below A Time è un’apoteosi di power, death, heavy metal sontuoso e praticamente perfetto.
The Wasteland (la canzone) chiude il lavoro con tredici minuti di delirio metallico tra fughe velocissime, crescendo maideniani ed epiche cavalcate, mettendo il punto esclamativo su di un lavoro magnifico.
Continuate pure a litigare sui social per gli ultimi lavori di gruppi che ormai, da anni, scrivono musica con il pilota automatico, noi virtualmente voliamo in India con i Rectified Spirit.

Tracklist:
01. The Art Of War
02. Fireborn
03. Winter In Thine Eyes
04. The Green Goblin
05. Afterthought
06. Once Below A Time
07. Empire
08. The Waste Land

Line-up:
Rainjong Lepcha – Vocals
Samudragupta Dutta – Guitars
Dishankan Baruah – Guitars
Himangshu Borah – Bass
Nishant Hagjer – Drums

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