Ora.
Ed eccolo là, il mostro. Eccolo là, il maledetto mostro. Eccolo che si contorce per il dolore, eccolo che cerca di gridare. Ma non può. E non potrà mai più.
3 giorni prima.
“Piccola… Dobbiamo parlare.”
Già so quello che mi vuole dire, in realtà. Ma annuisco in silenzio, con gli occhi bassi. Lei invece sembra nervosa, sfuggente. Si tormenta le mani, sfregandole con forza, non accorgendosi che si sono irritate fino a divenire completamente rosse. Ogni tanto si sistema i capelli, spostandoli dalla fronte e arricciandoli dietro le orecchie. Il suo aspetto è trasandato, i vestiti larghi e sformati che nascondono le spigolature, il viso privo di qualsiasi belletto. Il corpo magrissimo non s’intravede nemmeno, ma io la conosco bene e so che sotto quella maglia enorme c’è uno scheletro. Uno scheletro, non una donna. Non più.
Ma l’elemento più spaventoso di quello spettacolo già degradante di per sé sono i suoi occhi: privi di qualsiasi emozione, a parte un terrore cieco.
Mia mamma sta impazzendo, questo lo so. Quello che sta passando non è per niente ordinario né accettabile. È una cosa che non dovrebbe capitare a nessuna donna. Sta perdendo la voglia di vivere: è stata completamente inondata dalla paura.
La paura ha scavato dentro di lei, insinuandosi nelle sue membra come un virus infettivo. Ha preso il sopravvento sulla sua facoltà intellettiva, trasformandola in una larva senza alcun guscio con cui proteggersi.
“Dimmi, mamma.”
La mia voce è ferma. Voglio farle capire che non riuscirà a vincere, stavolta. Non abbasserò il capo come al solito, ma lotterò per le mie idee.
“Piccolina… Credo che sia meglio che tu ti trasferisca da papà.”
Ecco la bomba.
“Ma io non voglio!”, urlo improvvisamente.
Lei non se lo aspettava. Sbanda, gli sfugge un urlo di terrore. Si porta una mano al cuore, trafelata. Ha smesso di respirare per il panico. Mi sento immediatamente in colpa e cerco di rimediare all’errore. So quanto sia sensibile alle urla.
“Scusa mamma… Ma io non me ne voglio andare. Anzi, non me ne andrò. Non c’è nulla che tu possa fare per cacciarmi, mamma!”
“Ma… Ma… Non devi pensare che io non ti voglia, piccolina. Assolutamente! Lo sai che ti amo più della mia vita… Ed è proprio per questo che voglio che tu cambi casa, città… nazione se è necessario!”
“Tu credi che non ci sia via d’uscita a questa situazione, vero?”
Le prime lacrime iniziano a scorrere sul suo volto.
“E’ tutta colpa mia! E’ solo colpa mia!”, sussurra. Ha iniziato a dondolare sulla sedia.
“Non è colpa tua, mamma. Non potevi sapere che quel mostro orribile ti avrebbe rovinato la vita. Ma insieme possiamo ricominciare, mamma. Ti aiuterò io!”
“Non puoi aiutarmi, stellina mia, non può aiutarmi nessuno… Nemmeno la polizia è riuscita a fermarlo! Tu devi partire, scappare via da me!”
“Non lo farò.”
“Ormai ho deciso!”, prosegue lei. Sembra essersi leggermente ripresa, anche se continua a singhiozzare.
Sbruffo arrabbiata.
“Non puoi decidere della mia vita, mamma. Ormai sono grande. Ho quasi diciott’anni!”
“Partirai la settimana prossima, stellina. Ho già organizzato tutto. Ti ho lasciato il tempo di salutare tutti i tuoi amici, così non mi odierai più di quanto non mi odi adesso.”
“Ma io non ti odio, mamma!”
Mia mamma ha perso completamente la testa. Crede che io l’accusi inconsciamente di ciò che le è accaduto. Ma io ho capito che lei è solo una vittima, una docile e debole donna.
Un’ombra scura le ha oscurato il viso. Non ha più senso parlare, è sorda a qualsiasi emozione.
Non sente nemmeno il mio amore.
Due giorni fa.
Ho già organizzato tutto, basterà solo aspettare.
Il mostro non potrà più farle del male. Non potrà farle mai più nulla.
Ora smetterà di aspettarla sotto il portone, tutte le sere e tutte le mattine.
Ora smetterà di inondarla di chiamate e messaggi, a tutte le ore del giorno e della notte.
Ora smetterà di girovagare per il supermercato dove lei lavora, solo per far sentire la sua presenza inquietante.
Ora smetterà di farle trovare pacchi colmi di oggetti immondi d’avanti alla porta.
Smetterà di inviarle le foto del suo corpo massacrato dalle sue botte.
Ora smetterà di picchiarla, insultarla, ingiuriarla, seguirla, impaurirla, ossessionarla, maltrattarla, spaventarla, tartassarla, succhiarle la vita.
Smetterà di farle del male.
Per sempre.
Un giorno fa.
C’è un pacco d’avanti al portone. Sopra c’è scritto il nome della mamma. Lo prendo prima che lei rientri, so che è da parte sua.
Salgo a casa, indecisa se aprirlo o meno. Mia mamma rimane sempre sconvolta da quei pacchi, quando arrivano. Ancora più sconvolta del solito.
Ma io voglio vedere.
Appoggio il pacco sul ripiano della cucina, nel caso fosse imbevuto di benzina o di sangue come le ultime volte. Lo apro piano, usando un coltello affilato. Lo scotch si taglia come burro.
Sollevo i lembi di cartone e lancio uno sguardo dentro, preparata.
Non mi spaventa ciò che vedo. Ero preparata, sapevo.
Osservo il cuore, rosso e gonfio, infilzato da un lungo coltello da macellaio.
Deve essersi impegnato molto, per farle questo ennesimo regalo. Il coltello sembra professionale, sicuramente gli sarà costato un bel po’. Per non parlare del cuore: se lo sarà procurato dal macellaio, di certo.
C’è anche un bigliettino, da parte sua. “La prossima a morire sarai tu”, c’è scritto. Che pensiero carino. Ma si sbaglia, si sbaglia di grosso.
Meglio far sparire tutto prima che mamma rientri.
Due ore fa.
Mamma non sarebbe contenta di sapere che sto andando a cacciarmi proprio nella tana del lupo. Lei crede che io sia a casa, intenta a preparare le valigie. Invece sto andando a fare il mio dovere.
Per proteggere me, lei ha rinunciato alla sua libertà. Gli ha dovuto promettere di non denunciarlo dopo che aveva minacciato di prendersela con me. Ma lei ha dovuto farlo per forza, quella volta che lui la pugnalò. In pronto soccorso non potevano credere alla banale scusa che lei s’era inventata. Avevano chiamato i carabinieri e lei alla fine era crollata, confessando la sua prigionia.
Le forze dell’ordine non erano riuscite a tenerlo lontano. S’era manifestato nuovamente dopo appena un’ora dalla denuncia. A quel punto mia madre, ormai totalmente schiava dei suoi ricatti, gli ha dovuto promettere di fargli visita almeno una volta alla settimana. Altrimenti, lui mi avrebbe uccisa.
A casa del mostro lei ci andava senza dirmi niente, pensando che io non sapessi.
Mamma, mamma, perché hai accettato questo? Perché non ti sei ribellata come me?
Ora ci penso io, mamma.
Ci penso io a salvarti.
Venti minuti fa.
“Che cazzo ci fai tu qua?!”, sbraita appena entro.
Ha bevuto, si sente. Dall’alito e dalla pronuncia biascicata delle parole.
Cerca subito di afferrarmi, ma gli sfuggo. Sbatto la porta ed entro. Mi guardo intorno, c’è tempo. Lui è un essere ignobile, non so come faccia a spaventare mia madre.
È un verme, un verme strisciante.
“Che cazzo ci fai tu qua?! Vuoi giocare anche tu con me e quella puttana di tua madre? Te lo ha chiesto lei di venire al posto suo? Vieni qua che ci divertiamo…”, sillaba lui. Si porta le mani alla cintura. Slaccia i bottoni, abbassa il pantalone.
Perfetto.
Lo guardo, in attesa che finisca di mettersi in trappola da solo.
L’ho visto talmente tante volte comportarsi così con mia madre. Lei gli urlava di smetterla, di non fare cose simili d’avanti alla bambina. E io vedevo tutto, tutto. Finché lei non mi cacciava dalla stanza. Ma oggi lei non c’è, per fortuna.
Così non può fermarmi. Ormai ho varcato il limite.
Lui barcolla verso di me con il pene di fuori. Che miserabile, non riesce nemmeno ad avere un erezione. Mi fa pena, per qualche secondo.
Poi torna la furia.
“Vieni qua, puttanella… Adesso ti faccio divertire io e poi chiamiamo alla tua mamma e le dici quanto ti è piaciuto…”
Lo lascio parlare. Continua ad avanzare barcollando.
Sembra riaversi quando nota il coltello. Lo stesso coltello che ha mandato lui a mamma qualche giorno fa. Forse si ferma perché lo riconosce, chissà.
Mi guarda. I suoi occhi sono offuscati, ma si nota perfettamente il velo di inquietudine.
“Che cazzo…?”
Sono le sue ultime parole.
Scatto in avanti.
Per prima cosa, gli afferro il pisello moscio e glielo taglio via. Un taglio netto. Pensavo di dover usare più forza, ma mi sbagliavo.
Urla come un ossesso e si getta all’indietro.
Devo fare presto.
Mi avvento su di lui. Lui cerca di reagire, di allontanarmi, ma non ha scampo.
Per sicurezza, gli taglio anche la lingua.
Cerco di tratteggiare una linea dritta lungo il suo collo, incidendo sulla sua pelle. Mi rialzo, ma il taglio non è uscito come volevo io. Invece di una linea dritta, c’è un grande sorriso che gli squarcia il collo.
Un gran bel sorriso rosso, inondato del suo lurido sangue.
Ed eccolo là, il mostro. Eccolo là, il maledetto mostro. Eccolo che si contorce per il dolore, eccolo che cerca di gridare. Ma non può. E non potrà mai più.
Illustrazione di Enrico Mazzone