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Recensione : Pre – Cog In The Bunker – “pre – Cog’s Dream” 7? 2019 & “what If” Cd 2020

“Cosa c’è a Teramo che qui non c’è?” mi chiedo mentre, piacevolmente, mi ascolto i Pre-Cog in the Bunker.

“Cosa c’è a Teramo che qui non c’è?” mi chiedo mentre, piacevolmente, mi ascolto i Pre-Cog in the Bunker.

Mi arrovello il cerebro e guardo fuori dalla finestra: il vuoto più totale, una distesa di case tutte uguali che, la continua nebbia, uniforma anche oltre la loro già più che evidente identicità.

I grandi Singing Dogs, i misteriosi Zitoxil, le dissertazioni tra psichedelia, garage e Post Punk degli Inutili, il Rock n’Roll maledetto di Zoids, Necrophiliac Lovers e il Noise Rock asservito al vizio dei Bau e le sperimentazioni spigliate degli MSX…una città che esplode e che si esprime in un linguaggio rock di frontiera, debitore al passato ma perfetto scultore del futuro.

Vorrei fare il turista ed immergermi nel sottobosco teramano: frequentare le prove di queste formazioni, assistere ai loro concerti, ubriacarmi con loro e cercare di capire cosa c’è a Teramo che qui, dove abito, non c’è!

Anche questi Pre-Cog in the Bunker, in tutto questo fermento, non sono da meno, anzi: forse anche tra le punte di diamante (in un panorama dove tutto splende)!!!!

Una demo, due Album completi, un 7” ed uno stile unico, sospeso tra Garage punk, Velvet Underground, Stooges e gruppi storici del primo catalogo della Amphetamine Reptile (quelle chicche che rimangono sospese tra gli ’80 del revival garage, i ’90 delle sonorità che verranno poi chiamate Grunge, e che splendono di dissonanze e rock e del male, caratteristica, questa, tipica della scena underground teramana).

Qui si prendono in esame, come da richiesta del gruppo, le loro due ultime prove in ordine di tempo:
Il 7” “Pre-Cog’s Dream” del 2019 ed il CD “What If?” del 2020



Pre-Cog’s Dream attacca subito con un bello Stomp aggressivo senza badare troppo a sottigliezze e rifiniture di arrangiamento: il brano che da il titolo al singolo è un giro alla Sonics farcito di Crime e Damned; batteria alla Cramps di Nicky Knox e diritti al punto.

Tutto poi si apre in una parentesi tonda fatta da una chitarra sospesa in un Noise improvviso che spezza il pezzo in due in un attimo di estasi panica.
Il pezzo riparte e, come sembra giusto (ma sicuramente non ovvio) si schianta in un cortocircuito di chitarra rotta e batteria suonata come se ci si sedesse davanti per la prima volta.

Athermic Man è uno dei miei pezzi preferiti del duo teramano: i Not Moving, quelli storici di Jesus Loves His Children, fanno capolino e influiscono in un Garage sparato ma dalle melodie riconoscibili e, in quanto tali, la viziosità dell’insieme esplode nelle orecchie di chi ascolta.

On the Run parte sempre come i Not Moving partirebbero: indole garage, atmosfere in bilico tra il western e il tiro punk.

Poi la sorpresa, la sorpresa che smuove l’ascoltatore e riaccende la sua attenzione e la sua passione, legandolo indissolubilmente al disco preso in oggetto:

un’interruzione e poi una meraviglia in stile Heroin dei Velvet Underground, pausa riflessiva ma che si affaccia su paradisi fatti di psicotropi e promesse infrante. Un finale coi fiocchi.

Consigliatissima anche la bonus track digitale Kraut-Droid: dissertazione, come titolo suggerisce, in territori percorsi da messaggeri cosmici e che non vi descrivo oltre perché, vacca boia, un disco così ce lo dovete ascoltare, vivere, dolcemente subire…



Inizia con la voce di Philip K Dick che si presenta al pubblico. Poi una voce femminile ed atona ripete in loop “Pre-Cog in the Bunker”;

parte un garage decadente, devastato di blues, voce annoiata:

un incedere a passo lento ed implacabile che sfocia in un finale breve, accelerato, ai limiti dell’hardcore…

Explorer Drone ci introduce così a What If, seconda prova sulla lunga dei Pre-Cog, e fa da apripista per il punk rock, parecchio in odore dei Gun Club di Fire of Love, di Desire. Il ritmo è forsennato e disperato, il finale è affidato ad un loop azzeccatissimo di synth: geniale.

Farout ci riconduce all’inizio con un bel Garage Punk insistente e decadente: echi di Stooges e Fuzztones che si aprono ai dialoghi tra voce femminile e maschile del ritornello.

Una canzone che, pur risultando spigolosa in certe soluzioni di arrangiamento, risulta canticchiabile e agrodolce.

Sviluppa quasi una sorta di dipendenza che induce ancora di più all’ascolto, una voglia matta di scoprire come va a finire. Quasi come se di fronte avessimo un film e non un disco.

E, proprio in quest’ottica, Wormhole non delude.

Non delude poiché reinventa i Pre-Cog proprio in corso d’opera: li ridisegna come dei crooner maledetti, persi in un club fumoso e dannato.

Mood sensuale e perverso, un sottile strato di disperazione vizia l’aria che si respira. La chitarra è decisa, macina note, ma l’atmosfera è quella dell’abbandono, di una nostalgia destinata a non essere curata…il suono come di un organo accompagna questa amena marcia funebre, lasciando un che di amaro. Amaro ma adorabile.

Tornano i Gun Club e i Not Moving in LAT Lovers: sembra proprio di sentire il frutto di una collaborazione tra Lilith Oberti e Jeffrey Lee Pierce: deliziosa perla di Punk Blues sparato ed autoriale accompagnato da una voce superba…


e ci si schianta ancora in un’atmosfera devastata, ipnotica, tra post punk e garage, in Shapes of Death: la paranoia, la solitudine, una cattiveria che non conosce sfoghi rimanendo perennemente trattenuta, negata, intrappolata nel non-detto e nel non-fatto.

I Pre-Cog in the Bunker son così in questo disco: paranoia, demoni, industrie abbandonate e poi coloratissime esplosioni punk senza freni: un frena-accellera senza ritegno né rispetto, solo grande scrittura;

e infatti, dopo l’incubo lisergico di Shapes of Death, si riparte decisi con Yours and Mine, altro numero in odore di punk blues dove i dialoghi tra voce maschile e femminile la fanno da padroni,

per poi cadere vittime di “News/I Saw the Fear” una fangosa ossessiva marcia protopunk alla Stooges di Funhouse: zero energia vitale, il blues che battezza questo finale da 8 minuti buoni, filtra il tutto e lo getta in una dimensione fatta di scoramento e nocumento:

il disco sembra avvolgersi in se stesso, collassare, abbandonarsi in un delirio rumoroso, fatto di feedback, rumore bianco, pieghe ed increspature nelle facoltà di percezione…e poi una chitarra: una chitarra acustica, ai limiti del gotico, si esprime in un ostinato dove l’armonia principale è data, come in formula già rodata ma che non finisce mai di deliziare, nei duetti fra le due voci del gruppo.

Ed è proprio così che va a finire: un canto del cigno, un lamento pagano, un addio sussurrato che però non è un addio davvero:

subito viene la voglia di rimettere tutto dall’inizio, riascoltare da capo, cogliere dettagli e sfumature che, sicuramente, sono sfuggiti…perché il bello di dischi come questo sta proprio in questo: nella loro semplicità sono, in realtà, densi di spunti e piccole sottigliezze che non ci si stanca mai di dissotterrare, tra un ascolto e l’altro, ed ammirare.
Buona dipendenza

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Pre-cog IN the Bunker

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