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Recensione : Pack Rat – Glad To Be Forgotten

Pack Rat -Glad to be Forgotten: i Corner Boys, da Vancouver, nel 2019 se ne escono con “Waiting for 2020”, un disco piuttosto profetico dove, nella traccia che da titolo e sostanza all’intero disco, si recita “aspettando il 2020, aspettando la fine del mondo”:

Pack Rat – Glad To Be Forgotten

I Corner Boys, da Vancouver, nel 2019 se ne escono con “Waiting for 2020”, un disco piuttosto profetico dove, nella traccia che da titolo e sostanza all’intero disco, si recita “aspettando il 2020, aspettando la fine del mondo”:

in effetti nel 2020 il mondo, per certi versi, è finito davvero e i Corner Boys, con una certa coerenza, si sono sciolti.

“Waiting for 2020” era un disco che sapeva mescolare i Buzzcocks coi Subhumans coi Pointed Sticks, forse una delle migliori uscite del 2019…

I reduci da quell’esperienza, nello stesso anno della dissoluzione, riaffilano i coltelli, non si danno per vinti, e mettono insieme questi Pack Rat che coi Corner Boys c’entrano e non c’entrano:

stessa la freschezza, l’approccio aggressivo, l’indole autoironica, ma diversi i riferimenti: addio pop punk di levatura, anarcho punk motivatissimo e Power Pop intelligente!

Qui si respirano atmosfere più mature che, anziché incrociare e frapporre, mettono insieme, confondono, mescolano, e possono essere definite solo in un modo: Pack Rat.

Echi di Punk settasettino si confondono in una furia tipica di tanto Hardcore Punk moderno,

Noise Rock che fa capolino in certe soluzioni disarmoniche ma funzionali, un synth confonde, provoca, rimette in gioco:

tutto insieme, coerente ed incoerente allo stesso tempo, in una lezione di stile con pochi termini di paragone.

L’iniziale A Casual Death, coi suoi toni sardonici a fronte di una struttura solida che tende a fare sposare i Man Or Astroman? di Eeviac con un punk rock tiratissimo, il ritmo spietato di Two Sides of Your Heart, una tirata unica che si risolve in un inframezzo di tastiere folli e spettrali e in un ritornello semplice e complesso tra canti e controcanti, Il Post Punk guidato da un synth lineare di I’m a Lost Cause, così deciso e risoluto, fino ad approdare al gran finale di My Own Reality, ideale e decadente, nelle sue trame sfilacciate (seppur furente, in perfetta linea con la cifra di insieme) atto finale del disco:

tutte testimonianze di una maturità ed una personalità raggiunte a pieni voti, in un album praticamente perfetto che, in quel suo senso di urgenza, non lascia niente al caso; tutto pare perfetto, ben allineato e, per quanto non perda niente in fatto di freschezza e attacco, compiutamente ragionato.

Breve la durata del tutto, ma lunga la lista di elementi che affiorano durante l’ascolto, ponendo questo album come materia di cui disquisire e congetturare in chi avrà il piacere di confrontarcisi.

Se tutti avessimo preso esempio da Pack Rat che, dopo aver predetto il 2020, si sono disfatti dei loro antichi Io e si sono rimessi in gioco, cercando nuove soluzioni e nuovi stimoli, forse oggi affronteremo questa invivibile, o quasi, realtà con spirito più fermo e risoluto, e non staremmo ogni giorno ad aumentare la lista dei nostri “perché?”, ma arricchiremmo ogni volta quella degli “in che modo posso…”


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