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Metamorfosi 2015

Metamorfosi 2015:

Metamorfosi 2015

Annalisa ha 11 anni.

Non è troppo difficile immaginare una ragazzina di 11 anni nel 2015: per almeno otto ore della sua giornata la si può sbirciare sul social network.

Annalisa passa il suo tempo virtuale a visionare foto, pagine e gruppi che trattano di gatti. La sua bacheca è invasa dai gatti, pucciosi, simpatici, birichini; gatti di ogni tipo, di ogni razza; gatti dentro i bicchieri, dentro le ciabatte, nelle più assurde posizioni; gatti a valanghe, gatti coi cuoricini, coi fiocchetti, con le coroncine, coi i cappellini, con le bandierine; cesti pieni di gatti minuscoli di ogni colore e razza; gatti che suonano, che cantano, che dormono, che mangiano, che si danno i bacini.

Gatti.

Quando l’umanità ti fa schifo i gatti sono la risposta.

L’amore non esiste? I gatti ti salveranno.

Un giorno, Annalisa, lasciata sola in casa per ore di fronte ad uno schermo connesso, becca un gatto interattivo: si chiama Pan, un cucciolo siamese col pelo vellutato e gli occhi azzurri, bellissimo dunque necessariamente buono.

Se l’umanità è malvagia i gatti non possono che essere buoni.

Gatti.

Il piccolo Pan chiede dolcemente di scaricare un’app in modo da poter raccontare la sua storia.

Chi non vorrebbe leggerlo? Con quei suoi occhioni color del cielo?

Annalisa, trepidante, apre la chat e Pan si presenta:

-Ciao sono Pan, un bel micetto di pochi mesi, coccolone e affettuoso, morbidissimo e amorevole. Ho una storia da raccontarti.

Annalisa, che non può tenere gatti per colpa della madre allergica, è tutta occhi: associa le parole sullo schermo a quell’adorabile musetto, una tenerezza mai sperimentata nella sua miserabile vita da undicenne del 2015:

-Raccontami Pan, sono così sola. Non ho amici, i miei genitori sono sempre al lavoro e io dopo la scuola vengo parcheggiata qui. Vorrei tanto un gattino a farmi compagnia…

Pan manda un adesivo animato con simil-fusa audio:

-Non sei mica l’unica, bambina mia. Tanta gente è messa come te.

Ti racconterò la mia storia, è una favola che sembra vera, come tante ormai te ne hanno raccontate.

Io, vedi, sono un gattino un po’ speciale, il gattino di un famoso scrittore che adesso non c’è più. A dire il vero, Andrea, il mio padrone, non era un vero scrittore ma un cialtrone -spero tu sappia cosa significa questa parola. Io infatti non l’ho mai visto scrivere. Sono entrato nella sua vita quando ero molto piccolo, più piccolo di adesso; mi ha comperato in un negozio dove gli hanno assicurato il mio perfetto pedigree, ci teneva, sai i ricchi si attaccano a questo genere di cose.

Andrea aveva una casa enorme con tutti i comfort, il clima era sempre ottimale e non mi è mai mancato nulla. A dire il vero, sono ancora qua e spero sinceramente di rimanerci il più a lungo possibile. Una delle sue “ragazze”, infatti, si prende cura di me ora che lui non c’è più. Sì perché lui aveva un sacco di ragazze che gli tenevano compagnia, però erano pagate. Le capisco, alla fin fine anche io lo amavo perché mi riempiva la ciotola. Non dovrei dirlo ad un’undicenne, ma è così. Egli sperava che io lo amassi senza motivo, ma io sono tale e quale a quelle ragazze.

Andrea, il mio padrone, era comunque un truffatore, un figlio di papà. Aveva ereditato una fabbrica di automobili e pagava altri perché scrivessero per lui. Si era messo in testa di fare l’intellettuale, sai che significa? Che gli piaceva pavoneggiarsi agli aperitivi coi vip o a qualche kermesse culturale…

Annalisa interrompe il racconto con un messaggio:

-Non ti seguo, Pan! Non capisco. Ti posso dire che anche il mio papà paga gran soldi in bolletta per chattare con delle ragazze. Io l’ho beccato l’altro giorno. Ma mio papà è un operaio, non uno scrittore…

-Piccola mia, penso tu sia già abbastanza avanti, lasciami continuare la mia fiaba e forse capirai.

Annalisa batte la sua delusione:

-Ma io volevo la favola di un dolce gattino abbandonato che trova e dona tanto amore! Poco mi interessa la vita del tuo padrone!

Pan manda un adesivo animato di gattino col broncio:

-Il problema di noi gatti sono le vostre ridicole umanizzazioni. Voi dimenticate la nostra natura felina proprio quanto dimenticate la vostra natura animale. Lascia perdere l’amore e fammi continuare.

Andrea, il mio padrone, si è laureato con un’ eccellente tesi su un certo Franz Kafka, conosci? Inutile dire che la tesi l’ha pagata, scritta proprio da una delle sue ragazze. In breve, questo Kafka aveva scritto una storia di uno che di punto in bianco diventa un grosso insetto…

Annalisa sembra perdere la pazienza:

-Guarda, do una sbirciatina su Wikipedia per farti un favore ma, davvero, poco mi interessa di questo Kafka.

Pan si mostra contento con un punto e virgola e una parentesi chiusa:

-E’ già tanto. Ti ricorderai da grande di questo scrittore?Andrea, al contrario, si faceva scrivere banalità da altri e le spacciava per proprie. Non mi sconvolgerei se venisse considerato anche lui un vero scrittore, ma è solo nato con la camicia. Ha ereditato una fortuna e ha avuto tempo e denaro per realizzare i suoi sogni. Se questo Kafka fosse vivo si incazzerebbe moltissimo.

Annalisa spara una serie di faccine tristi. Lei vuole solo vedere gatti adorabili e struscianti, con gli occhi socchiusi e la pancia all’aria in cerca di coccole. Ma Pan tira dritto con la sua noiosa storia:

-Lo sai cosa ha fatto Andrea qualche settimana fa? È andato ad un convegno sulla disabilità infantile per pubblicizzare la sua ultima non-fatica (non l’ha scritta lui!) letteraria: un’accozzaglia di frasi fatte, una trama prevedibile di roba trita e ritrita sull’amore e la speranza. È tornato a casa ubriaco di champagne con due “escort”(sei piccola, non informarti troppo!) e ha passato la nottata a ridere su una bimba cui ha regalato una copia autografata del suo libro. La bimba, senza braccia e senza gambe, era da lui soprannominata “il verme”. Non so proprio cosa avesse da tanto da ridere. Il suo libro sull’amore comunque sta vendendo alla grande, ora che è morto poi…

Annalisa ormai è quasi pronta a chiudere la chat. Davvero, la sua vita è già abbastanza triste, non ha bisogno di leggere anche queste oscenità. Quasi si ritiene fortunata della sua famiglia povera, col mutuo da pagare, il papà sempre arrabbiato e la mamma sotto psicofarmaci. Sapere di una bambina senza braccia e senza gambe presa in giro con quel nomignolo è troppo!

Ma in un secondo Pan le manda un breve video di un minuscolo siamese che gioca sul pavimento con qualcosa di indefinito: le pupille dilatate, le orecchie all’indietro, la zampetta scattante, la coda gonfia, le vibrisse in allerta. Irresistibile!

La ragazzina dunque rimane inchiodata allo schermo:

-Quelli erano gli ultimi istanti di vita del mio Andrea. In fondo gli volevo bene, mi nutriva e mi coccolava. L’ho anche sentito piangere: senza soldi quelle ragazze non avrebbero mai accettato la sua compagnia. Non era né bello né brillante e puzzava abbastanza, ma a noi gatti queste cose interessano poco.

Ma ti racconto…

Eravamo sul divano, ieri sera. Mi carezzava dicendo di sentirsi molto solo, gli ho creduto, gli ho dato un colpetto di muso e gli ho mordicchiato la mano. Mi sono messo a giocare con un lembo della sua camicia e lui ha sorriso, tra le lacrime che continuavano a sgorgare dai suoi occhi. Il contatto col mio pelo morbido deve averlo rilassato, io ho cominciato a fare delle fusa e forse sono riuscito a lenire quel dolore invisibile che ogni tanto affligge voi umani. Ha voltato la testa di lato, ho pensato che stesse per addormentarsi, e pazienza se si era scordato la dose serale di croccantini.

 Un attimo dopo però ho avvertito un sussulto. D’un tratto Andrea si è sentito male, si è piegato in due, con le mani si teneva la pancia. Nulla di strano, capitava spesso dopo i bagordi con alcool e polvere bianca…

Dall’altro capo della connessione, Annalisa chiede una pausa. I suoi genitori sono appena rientrati in casa, già risuonano borbottii e lamentele, tra rumori di chiavi, borse gettate ovunque e porte sbattute. Suo padre, ancora in tuta da lavoro, tuona che gli serve il computer per visionare i risultati di non si sa quale partita di calcio, la ragazzina però non demorde, il racconto di Pan comincia a farsi interessante:

-Il computer mi serve papà! Devo fare una ricerca su Franz Kafka, per la scuola, domani!

-E chi è ‘sto Caffcà? Mannaggia a te!

Annalisa teme di perdere il controllo dell’agognato strumento ma per fortuna interviene la mamma:

-E lasciala studiare, la ragazza! Non vorrai mica che faccia la fine nostra?

Mentre sullo schermo del pc campeggia la pagina Wikipedia su La Metamorfosi, quella del 1915, parte il battibecco pre-cena, come al solito, tra i due genitori, con sottofondo di tv che spara a raffica le ultime sul viaggio del Papa:

-Magari facesse la fine nostra! Sai che hanno detto oggi quelli della fabbrica accanto alla nostra? Che si chiude! I padroni se ne vanno dove gli operai costano meno. Quindi baciate per terra se fino a domani abbiamo una casa e il frigo pieno! Sempre a lamentarvi. Che diamine studia poi quella? In Italia? Perde tempo e non troverà neanche un posto al call-center, non vedi che va tutto a rotoli?

-Con un buon titolo di studio potrebbe andarsene all’estero! Deficiente!

-Si come no, a fare pizze per due euro l’ora…

-Parla piano che ti sente.

-Che sentisse pure! Sarà meglio che non si faccia troppe illusioni, la piccola principessa venuta per caso.

-Ancora con questa storia?

-Sai bene che non era il momento, che non dovevi tenerla, che non c’erano e non ci sono risorse. Ma niente! La vita è sacra, mannaggia a te, a tua madre e ai tuoi preti!

-Basta rinfacciare!

-E tu smettila di lamentarti!

E via dicendo…

Annalisa da tempo non fa più caso a questo scambio di battute che si ripete ormai ogni sera, con punte massime la domenica, quando la trafila può arrivare a coprire l’arco dell’intera giornata.

Continuando a leggere passi della storia di Gregor Samsa trovati in rete, si ritrova d’impatto a percepire una certa vicinanza con questo personaggio, così, di colpo, come un’oscura onda energetica che pare oltrepassare i limiti dei suoi undici anni; si volta persino di scatto aspettandosi di vedere un fantasma a forma di insetto che striscia sulla parete alle sue spalle.

-Deve essere questo l’effetto che gli scrittori vogliono provocare in chi legge.

Pensa.

Quasi si stava dimenticando della sua grande passione, i gatti, quando Pan la ricontatta in chat:

-Hey, ci sei? Non vorrai mica perderti il finale della mia storia?

-Certo che no! Anche se ho paura di non poter capire tutto.

-Non ti preoccupare. Ti hanno raccontato favole ben più assurde della mia quando eri in tenera età e le hanno spacciate per verità assolute. Tranquilla…

-Capisco cosa vuoi dire. (faccina ammiccante).

-A buon intenditor poche parole. (faccina con corna di diavoletto).

Dunque, riprendo il mio racconto. Quella sera, Andrea non aveva bevuto più del solito, ma sul divano, mentre mi coccolava, ha avuto un malore molto forte. Piegato in due, ha iniziato a sbavare una cosa appiccicosa ed è diventato tutto bianco. Ma non dico quel bianco come uno che si sente male in modo normale, dico bianco davvero, come una pagina di Word o un foglio A4. Anche le mani e i piedi erano diventate di questo colore e, notavo, si stavano rimpicciolendo. Be’, certo, non è facile credere alle visioni di un gatto, per quanto vi sforziate, non saprete mai davvero cosa e come riusciamo a vedere, eppure, cara, ti assicuro che il mio resoconto è fedele alla realtà. Sì, Andrea si stava rimpicciolendo. I suoi vestiti erano divenuti davvero troppo larghi e, pian piano, lui ne era scivolato fuori, come una specie di budino. Me lo ritrovai supino sul pavimento, nudo, bianchissimo, ormai lucente direi, che si dimenava in preda a dolori lancinanti. Queste grida strazianti però cessarono presto poiché lentamente la sua bocca divenne sempre più piccola fino ad assumere la forma di un piccolo tubo dal quale, al massimo, riuscì ad emettere qualche sibilo.

Mi avvicinai, lo annusai e capii che anche il suo odore stava cambiando. Diedi un colpetto di zampa ai suoi piedi e vidi che si stavano unendo in un unico ammasso, come una grossa coda. Le braccia diventavano sempre più piccole e stavano per essere risucchiate nel rotolo divorante che era ormai il suo corpo. Per un attimo ebbi paura: che diavolo era quell’essere? Poteva divenire pericoloso per me? Aveva ancora comunque le dimensioni di un bambino e si contorceva sul pavimento con un ritmo sinuoso, un po’ inquietante. Mi allontanai e lo osservai a debita distanza: i suoi occhi erano diventati due puntini neri che andavano rimpicciolendosi di minuto in minuto, il naso era scomparso, come tutte le altre escrescenze del corpo. Era ormai una specie di fagotto viscido, come un sacchetto dell’immondizia unto. Emetteva dei suoni sordi, dei gorgoglii interni che si andavano facendo sempre più flebili.

Quando raggiunse le mie stesse dimensioni iniziai a preoccuparmi: chi mi avrebbe aperto la scatola di croccantini? La notte stava sopraggiungendo e il mio stomaco borbottava.

Spinto dalla fame, mi sono fatto un giretto in cucina, ho annusato l’aria, ma nulla: i croccantini erano ben chiusi in una credenza, ho valutato l’impossibilità di poterli raggiungere…

Una sfilza di faccine piangenti invade lo schermo di Pan:

-Oh, non raccontarmi di gattini denutriti o lasciati morire di stenti! Se no chiudo subito la chat!

-Ma no, stai tranquilla! Non vedi che sono qua?Sono vivo e vegeto, sto benissimo e cresco a vista d’occhio. Anche se quella sera ho saltato la cena, alla fine c’è chi se l’è passata peggio: il mio Andrea.

Tornato infatti nel salone non l’ho trovato più! Ci credi? Era sparito, ma siccome sono un gatto, percepivo ancora la sua presenza in casa. Si era nascosto, il furbastro.

Non è che i gatti li freghi così….

Io lo sentivo il suo odore, lui era ancora nei paraggi, ma fuori dalla mia visione. Non aveva più la stazza dell’essere umano, io lo sapevo: un gatto ha sempre un quadro completo di peso, dimensioni, altezza, consistenza e altre segrete informazioni che voi neanche potete immaginare, e le ha in una frazione di secondo. 

Quindi, cara bambina, fidati e non fare domande. Sono un gatto.

Mi sono avvicinato al vaso di rose sopra il tavolino di cristallo. Le rose di un’ammiratrice o forse di un editore gay (saprai cosa significa “gay”, immagino; per noi gatti certe differenze sono davvero inutili!). Ho dilatato le mie pupille nella penombra e l’ho scorto: era rannicchiato sotto un petalo mezzo nero già vittima della decomposizione di tutte le cose viventi. Stava rosicchiando, si nutriva, il furbastro, mentre io ero rimasto senza cena. Era lui, lo so di per certo. Si spostava con un movimento tipico, che conosco bene, come una pallina che rotola dentro un tubo molle. Misurava pochi centimetri, cinque direi ad occhio e croce, se proprio volete essere pignoli con i vostri numeri. E rosicchiava, il cialtrone, come sempre aveva fatto, doni piovuti dalle mani della fortuna, una fortuna che voi umani avete reso non cieca ma sempre rivolta con lo sguardo verso i più fortunati. Che dire? Da gatto domestico non posso mica dar lezioni di giustizia o moralità. Non mi metterò a sindacare sulle vostre ignobili leggi, io sono un felino.

Le vibrisse comunque mi hanno trasmesso informazioni ataviche; ho sentito il pelo sulla schiena tirarsi su come la cresta di un gallo, la coda alzarsi come una specie di antenna, e uno strano solletico, indescrivibile, mi ha preso alla radice dei denti, facendomi sbavare. Tutti i miei sensi (è vero che ne avete solo cinque? Lasciatemi ridere!) si sono messi in allerta e, davvero, senza nessuno sforzo, ho dato un colpetto di zampa a quel verme, Andrea. Perché, se ancora non lo hai capito, bambina, il mio padrone si era trasformato proprio in un verme!

Un colpetto leggero, senza unghie, mirato; e l’ho visto piombare sul tavolino di cristallo, un poco tramortito ma nel pieno delle sue facoltà: percepivo il suo respiro accelerato ma sapevo di non avergli arrecato nessun danno (cose da gatti).

Era proprio un verme, di quelli bianchi, bello grasso. Sono sicuro che alla fin fine se la sarebbe cavata anche nei panni di quella ributtante creatura, che vuoi farci? È nato con la camicia e il cielo lo avrebbe aiutato sempre. Non siete voi che credete in qualcosa che sta in cielo e che dovrebbe proteggervi ed assicurare giustizia? Ah, non sono fatti miei. Io sono solo un gatto e il cielo mi interessa davvero poco. Vedevo quel coso che si rotolava da un lato all’altro e si muoveva goffamente, spingendosi avanti a mo’ di fisarmonica; avrei potuto lasciarlo andare ma, i gattini piccoli, si sa, hanno una gran voglia di giocare. Che poi, a dirla tutta, i nostri giochi non sono solo giochi. Noi, in realtà ci teniamo in continuo allenamento per la caccia e le nostre madri, dalla notte dei tempi, ci hanno fatto vedere come si fa. Io non ricordo le lezioni della mia mamma ma so di per certo che in quel momento l’istinto, una cosa importante che non sto qui a spiegarti, mi ha portato irrimediabilmente a prendere a zampate il povero verme Andrea.

Lo hai visto nel video che ti ho mandato poco fa.

L’ho palleggiato un po’ con le due zampe anteriori, me lo sono portato alla bocca ma non ho stretto coi denti e l’ho fatto cadere dal tavolino.

Sul pavimento, l’ho visto fermo, ma sapevo che era ancora vivo anche se ammaccato e malconcio. Emanava un cattivissimo odore, peggio di quello che aveva da essere umano, ma io avevo ancora una gran voglia di giocare! Mi sono lanciato su di lui dal tavolino di cristallo e l’ho afferrato con entrambe le zampe; l’ho scaraventato dappertutto, come una pallina da flipper, fino a quando non è finito sotto una scarpiera. Suprema goduria! Mi sono acquattato per bene, lo vedevo tra i ciuffi di polvere, era gonfio e umidiccio e si muoveva a stento. Per acciuffarlo avrei dovuto tirare fuori la mia arma segreta: le unghie affilate come spilli. Spinsi metà del mio musetto nell’angusto spazio tra il pavimento e il mobile, calcolai per bene le distanze tra me e la preda e con uno scatto preciso l’ho infilzato sul fianco e l’ho trascinato fuori. Be’, era rimasto attaccato all’unghia e l’ho dovuto scrollare via coi in denti; aveva un saporaccio terribile, non era neanche buono da mangiare (ma questo lo sapevo già da prima). Insomma l’ho ucciso per divertimento.

Annalisa osserva dei pallini che scorrono sulla finestra della chat, Pan si è preso una pausa.

Si riguarda il breve video del gattino che gioca sul pavimento e risponde:

-Oh, ma è orribile!

Pan lancia una serie di faccine perplesse:

-E perché mai?Io sono un felino, in natura sopravvivo cacciando e cibandomi di prede. Cosa ci trovi di tanto orribile?

-Ma era il tuo padrone, magari ti amava veramente.

-Oh, non ne dubito. Non avrebbe mai potuto amare un altro essere umano, qualcuno come lui, forse malvagio più di lui.

-Secondo me non dovevi farlo.

-Ma io non ho scelta, io non posso distinguere veramente tra il bene e il male. Se l’avessi lasciato in vita sarebbe stata solo una conseguenza della noia, oppure della presenza di altri divertimenti o rumori di ciotole.

-Io non ti capisco. Un bel batuffolo come te…

Pan manda dei cuoricini, come per farsi perdonare:

-Hai letto il romanzo di Franz Kafka?

-Non tutto. È un po’ difficile.

-Però sai come muore Gregor?

-Sì, l’ho letto nel riassunto su Wiki.

-Suo padre gli scaglia una mela sul dorso e lo ferisce a morte.

-Oh, è orribile anche questo!

-Suo padre non era un felino e Gregor, in fondo, non aveva fatto nulla di male. Chi è più orribile? Io o il padre del povero grosso insetto?

-Non lo so, smettila con queste domande difficili. Sono solo una bambina di undici anni che ama i gatti. Vorrei qualcosa di tenero nella mia vita. A scuola sembra di essere in guerra, i ragazzi mi picchiano e mi rubano tutto. L’altro giorno sono tornata a casa scalza. Ma nessuno può fare nulla, io e la mia famiglia viviamo in un quartiere degradato e abbiamo anche paura dei genitori dei bulli, che poi si vendicano. I miei non navigano nell’oro e siamo spesso alle strette, loro sono sempre nervosi. Mio padre mi accusa di averli resi più poveri di quel che erano. Io non ho amici, non ne ho mai avuti e non so nemmeno come si faccia ad averli. Me ne sto sul web a guardare gatti e arrivi tu a dirmi che anche loro sono malvagi!

-Ma io non ho detto che i gatti sono malvagi! Ti ho solo invitata a vederli in un’altra ottica. La malvagità è una vostra invenzione: in natura esistono solo diversi stati di equilibrio e istinti funzionali. È vero che ho ucciso il verme per divertimento ma il mio divertimento è allenamento alla caccia, io sono programmato per questo. Mi vuoi dire che in fondo anche voi esseri umani siete così?

-Cosa vuoi che ne sappia io?

-Magari potreste ammetterlo senza troppi fronzoli.

-Da undicenne del 2015 ti posso dire che siamo molto peggio, se vuoi il mio parere. Non so bene come spiegartelo perché non sono brava come te con le parole, ma sento che è così. Ora, per favore, posso tornare a sognare dolci gattini?

-Li vedrai ancora così dolci dopo quello che ti ho raccontato?

-Non saprei. Ma se mi togli anche la tenerezza dei gatti cosa mi rimane?

-Hai ragione anche tu, ma io, nella mia essenza di gatto, non voglio apparire soltanto nelle vesti di animaletto coccoloso! Insomma, ho una certa fama da difendere, non se ne può più di immagini virtuali zuccherose di micetti, è bene che anche voi sappiate le verità su di noi. Io sono Pan, e sì, lo ammetto, sono un assassino.

-Già, di sogni. Che motivo c’era di compiere anche questo misfatto? Sai che ti dico? Tu non sei un gatto! Solo gli esseri umani sanno essere così crudeli da uccidere i sogni. Addio.

Con un click Annalisa chiude la chat. Ha gli occhi stanchi per il troppo leggere parole sullo schermo. Mette in sospensione il pc e decide di fare un giretto in cucina. I suoi genitori non l’hanno neanche chiamata per la cena, sul tavolo campeggiano i resti di pizze d’asporto, smangiucchiati direttamente sul cartone. Suo padre si è addormentato su una poltrona mentre la sua agognata partita di calcio continua a giocarsi sul televisore; sua madre, come d’obbligo, è già crollata in camera da letto dopo il suo consueto cocktail di Xanax e antidepressivi.

La ragazzina si prepara una tazza di latte, come cena andrà bene. Se solo avesse un gatto da accarezzare! Ripensando a Pan si ripromette che un giorno ne prenderà uno uguale a lui e lo chiamerà proprio con quel nome. Non vede altri desideri nella sua vita, non vede altri sogni.

Forse è colpa del 2015.

Non è ancora arrivato il momento di andare a dormire. Sa che non dovrebbe farlo, ma niente, è più forte di lei: torna al pc e ricomincia a sbirciare tra le pagine di gatti.

Dopo il racconto di Pan, decide di ampliare la sua visione sui gatti. Trova pagine web di gatti arrabbiati, gatti filosofi, astrofisici, dittatori; gatti serial killer, cinici, brutali, beffardi; gatti scrittori, sibillini, profeti, oratori; gatti indifferenti, opportunisti, truffaldini, ladruncoli; gatti con le pistole, gatti con occhi iniettati di sangue, gatti che mangiano cuori umani, gatti pirati, cacciatori, spacciatori; gatti satanici, gatti in mezzo agli scheletri, gatti vampiri e gatti fantasma, gatti divinità e gatti capri espiatori, gatti con le loro compagne di sempre, le streghe…

Gatti.

Annalisa sorride, li amerà sempre.

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