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Recensione : Martin Eden Jack London

Martin Eden scritto da Jack London: un giovane marinaio di origini umili si innamora di una ragazza della borghesia. Per conquistarla, si impegna a diventare uno scrittore, ma il successo gli porterà solo disillusione e dolore.

Martin Eden di Jack London

Martin Eden Jack London

Pubblicato nel 1909, “Martin Eden” ottiene subito un clamoroso successo di pubblico. Il protagonista è un marinaio che ha seguito poche classi delle elementari e che fa di tutto per elevarsi al di sopra della sua condizione di illetterato, iniziando un difficile e appassionato periodo di studi in autonomia per diventare uno scrittore affermato.

Il romanzo, in parte autobiografico, contiene una forte critica ad una società felicemente materialista e al capitalismo cinico che imperversava all’epoca e che aveva costretto moltissimi americani ad una vita di miseria ed espedienti.

Potrete leggere passaggi come questi:

  • Ogni pagina di ogni libro era una feritoia che si apriva sul reame del sapere. La sua fame si nutriva di quello che egli leggeva, e aumentava.
  •  Trentamila dollari l’anno sono una bella cosa, ma i bruciori di stomaco e l’incapacità di essere umanamente felice sottraevano tutto il valore a quel reddito principesco.
  •  (…) era afflitta dal solito isolamento mentale che fa credere agli esseri umani che il proprio colore, il proprio credo, la propria politica siano ottimi e giusti, e che tutti gli altri esseri umani sparsi per il mondo siano meno favoriti di loro. Era lo stesso isolamento mentale che spingeva l’antico ebreo a ringraziare Dio di non essere nato donna e che ha mandato i missionari moderni a sostituirsi a Dio fino ai confini della terra; (…).
  •  Non aveva visto un giornale in tutta la settimana e, cosa strana per lui, non sentiva il desiderio di vederlo. Le notizie non lo interessavano. Era troppo stanco e sfiancato per interessarsi a qualcosa; (…).
  •  Era stato sempre turbato da un senso di irrequietezza, aveva sempre sentito il richiamo di qualcosa in lontananza e aveva continuato a vagare nella vita e a cercare, finché non aveva trovato i libri, l’arte e l’amore.
  •  Veramente, non ho nulla contro le banalità (…) ma quello che mi urta i nervi è quell’aria pomposa, soddisfatta e compiaciuta, di superiorità e di sicurezza, con cui ce le propinano, e il tempo che ci mettono a farlo.
  •  (…) chiunque dà da mangiare a un uomo ne è il padrone.
  •  Lanciò un’occhiata affettuosa ai suoi pochi libri. Erano i soli compagni che gli fossero rimasti.
  •  (…) regolavano su formule piccole e strette la loro piccola e stretta esistenza; tutti appartenevano a un gregge, si ammassavano insieme e modellavano la loro vita secondo le opinioni altrui.
  •  I direttori, i vice-direttori, i redattori associati, per la maggior parte, i recensori delle riviste e gli editori, per la maggior parte, quasi tutti, sono uomini che volevano scrivere e non ci sono riusciti. E invece, proprio loro, i meno competenti fra tutte le creature che vivono sotto il sole, sono quelli che decidono che cosa deve e che cosa non deve arrivare alla stampa, e proprio loro, che hanno dato prova di non essere originali, che hanno dimostrato la propria mancanza di fuoco divino, sono giudici dell’originalità e del genio. E dietro a loro vengono i recensori, che sono altrettanti falliti. (…) Perdinci, la media delle recensioni è nauseabonda quanto l’olio di fegato di merluzzo.
  •  Nessuno aveva fabbricato le loro opinioni per loro; erano tutti ribelli di vario genere e le loro labbra non conoscevano luoghi comuni.
  •  Puah! Sono stomachevoli. E pensare che nella mia ignoranza mi figuravo che le persone che siedono in alti seggi e che vivono in belle case e hanno istruzione e conti in banca valessero qualche cosa!
  •  (…) aveva un ideale, quello di giungere a quella eccellenza del perfetto cronista che sa ricavare qualcosa, anzi tante cose, dal nulla.
  •  Per loro, la concezione più elevata della buona condotta era trovar lavoro. Quella era per loro la prima e l’ultima parola. Costituiva tutta la loro scorta di idee. Trova un posto! Mettiti a lavorare! Poveri e stupidi schiavi, pensava (…). C’era poco da meravigliarsi, se il mondo apparteneva ai forti. Gli schiavi erano ossessionati dalla loro stessa schiavitù. Un posto era per loro un feticcio d’oro dinanzi al quale cadevano in ginocchio e adoravano.
  •  Il realismo è essenziale alla mia natura, e lo spirito borghese odia il realismo. La borghesia è codarda. Ha paura della vita.
  •  (…) chiuse gli occhi e dormì normalmente e comodamente per otto ore ininterrotte. Non fu agitato. Non cambiò posizione e non sognò. Il sonno per lui era divenuto oblio, e ogni giorno, quando si destava, si destava con rammarico. La vita lo tormentava e lo annoiava, e il tempo era un fastidio.
  •  Diventava antisociale. Ogni giorno, la tensione di essere cortese con la gente si faceva per lui più faticosa. La presenza delle persone lo turbava e lo sforzo della conversazione lo irritava. La gente lo rendeva irrequieto, e non appena a contatto con la gente cominciava a cercare pretesti per liberarsene.
  •  (…) si metteva sulla seggiola a sdraio con una rivista che non leggeva mai sino alla fine. Le pagine stampate lo stancavano. Si domandava perplesso come mai gli uomini trovassero tanto da scrivere; (…).
  •  Era tutto dolorante di vita.

Cos’altro aggiungere?

Il romanzo si conclude con il suicidio del protagonista, Martin Eden, che si affoga nel mare che era stata la sua prima casa di marinaio. In un diario, London scrisse che chiunque ha il diritto di suicidarsi quando la vita diventa insopportabile. Jack London morì suicida con un’overdose di morfina, il 22 novembre del 1916.

 

 

 

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