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Recensione : Loia – Sotto La Mia Pelle

Questo disco, il secondo per i Loia, è un disco politico e, in quanto tale, presenta una stretta correlazione tra musica, messaggio e narrazione puntuale di tutto quello che è attualità.

Loia – Sotto La Mia Pelle

Urla che feriscono il vivo tessuto di giornate insipide
Come falce si abbatton su folla incosciente
Ora e per sempre
Il NOSTRO sentire è vivo ed è forte
Fino alla fine
Senza tregua ne requie:

Lunga Vita alla Loia

E Morte al comune di Firenze!

Il comune di Firenze mette all’asta anni di storia, di resistenza (la resistenza, questa grande avventura fatta di autodeterminazione dal basso, di repubbliche partigiane e che le istituzioni vorrebbero farci dimenticare se non farci apparire come qualcosa che, in fin dei conti, proprio giusto non è stato), una resistenza fatta di passione, politica, solidarietà… il terreno dove lo Stupendo Next Emerson poggia le sue fondamenta vorrebbe essere venduto dal comune di Firenze in nome del nulla che avanza, che ingurgita quartieri, situazioni vivaci e vitali e, irrimediabilmente, pialla tutto, mortifica e appiattisce, riduce tutto al semplice “tutto ciò che è profitto è giusto, ciò che non lo è di fatto è inutile”.

I Loia, a buon diritto, appartengono a quel mondo, di quel mondo si alimentano nei loro testi e nella loro musica e, di quel mondo, si fanno portavoce, megafono, rivolto verso il mondo, un mondo che non vuol sentire e che, monomaniaco, ripete “ma noi dobbiamo lavorare” (il lavoro, svilito da anni di leggi delinquenziali, svuotato d’ogni senso creativo e dignità, oggi diventa culto di sé stesso, lavoro per il lavoro, grottesca riproposizione del concetto di L’art pour l’art).

Questo disco, il secondo per i Loia, è un disco politico e, in quanto tale, presenta una stretta correlazione tra musica, messaggio e narrazione puntuale di tutto quello che è attualità.

Studiata e messa a punto durante i due anni di Pandemia, quest’opera parla e suona al presente:

concettualmente si ricorre spesso alla tematica del virus e della malattia, sia in modo diretto che metaforico, e musicalmente viene acuita la componente più Metal del gruppo che si risolve in atmosfere più marcatamente Thrash/Black (prendere gli Slayer e i Behemoth come riferimenti) al fine di evocare, in maniera più lampante, scenari post apocalittici, post nucleari e post genere umano.

Da ascoltatore e lettore mi son permesso di dividere il disco in quattro parti prettamente tematiche al fine di una migliore presentazione del lavoro svolto dai quattro fiorentini:

Parte1: del vaso di Pandora

Un incipit imponente nella sua violenza di attacco, un urlo “Il cannibalismo folle del capitale!” e siamo presi a schiaffi da “Sotto La Mia Pelle” a ritmo di D-Beat e riffing alla Reign in Blood:

il capitalismo rappresentato come un cancro, il male impartito e inoculato nell’individuo da anni di plagio operato da scuola, famiglia, , lavoro, culto dell’immagine, culto religioso plasmato sul consumo.

“Loia of Death” breve saggio di immunologia a tempo di Crust e Fast Core; esplica come di fronte ad un virus, il capitalismo, sia necessario rispondere con un altro virus: lavoratori, organismi già insediati nell’ospite, che smettono di essere funzionali al sistema produttivo di quest’ultimo:

diventare il Virus del e nel Virus.

Non combatterlo da dentro ma, più semplicemente, smettere di farlo funzionare: incrociando le braccia e rifiutandosi di produrre.

“Nessun Problema” il Virus diventa mentale; un’idea fissa, una monomania
“non ho nessun problema, eppure non riesco a respirare” restrizioni, Lockdown, quarantene e chi è solo è sempre più solo:

una società che non sa prendersi cura dei più deboli non è una società. È un campo di concentramento.

“Crepuscolo” ancora meraviglie Thrash Metal maligno (il riff principale che guida il pezzo è una roba che incenerirebbe anche il migliore Kerry King) e citazioni da Baudrillard. Un confronto tra Capitalista e sfruttato, dove le armi del primo si ritorcono contro di lui. Il Capitale diventerà la malattia di sé stesso poiché non riesce a ragionare sul lungo termine…

Parte2: di migrazioni e razzismi.

“Caccia all’Ombra” Neo Crust che si schianta in un fraseggio epico: la ricerca del nemico, un nemico a tutti i costi: diti puntati contro il diverso, il nero, l’invisibile che qui diventa ombra (ottima figura retorica) e alla quale si dà la caccia: il razzismo è ignoranza

“Naufraghi” incredibile cavalcata, sempre sospesa tra Thrash e D-Beat, e il miglior pezzo dell’intero Album: la condizione del migrante, la paranoia, l’abbandono, l’incertezza, sospesi tra la vita e la morte, la scommessa. “nessuna meta, nessuna direzione. Naufraghi, una bussola di rancori”. Il fatto che questo sia tra i pezzi migliori del disco rivela quanto i Loia abbiano a cuore questo argomento (il Next Emerson, durante il Lockdown, ha organizzato delle raccolte alimentari che venivano poi esposte dentro a dei cartoni sulla pubblica piazza, di modo che, anche chi è invisibile e senza documenti, potesse attingerne senza dover passare da inutili trafile burocratiche) e se ne facciano una giusta bandiera.

Parte3: delle sovrastrutture.

Il condizionamento che rende normale una vita che di normale non ha mai avuto niente: in molti si sono chiesti “quando potremo tornare a vivere?” più giusto sarebbe stato chiedersi “ma io ho davvero vissuto fino ad ora?”

“Famiglia” è un arpeggio condito di male e scoramento che si tramuta in un punk rock da battaglia e che si spezza in un riff black metal: la famiglia, questo neonato storico che se la sente come un anziano biblico, un’unità tenuta in vita dal capitale solo per la sua capacità di consumo. La famiglia è solo una scusa per l’ennesima campagna elettorale, un tampone per coprire il massacro compiuto sul concetto di “Comunità” al quale si vuol dare un’importanza che non ha, un’influenza che non è mai riuscita ad esercitare. Solo un elemento generato dal Capitale.

“Nella mia Testa”: da una fanghiglia di suoni distorti parte una marcia tetramente trionfale, una cavalcata nelle trame di una mente che prende coscienza di sé: “nella mia testa ci sono solo ombre…ma non riesco più a uscire da qui…”.

Segue la disperazione dell’impossibilità di reagire ma la disperazione saranno i tuoi denti.

“I Chiodi della tradizione” ancora black metal di un gusto melodico raro e pregiato, lo squallore del lasciarsi trascinare da usi e costumi indotti dal potere non poteva essere rappresentato meglio.

“Voci”:”…incomincio a capire ciò che è reale! Cessare di soffrire! Nessuno mi accompagna nell’incendio della mia testa…” la liberazione è sofferenza, abbandonare la speranza per diventare davvero liberi. Brano tecnico ed ispirato, non un attimo di requie tra affondi da stillicidio e tuffi in voragini di pura alienazione sonora…

Parte4: “Tutto questo non ci ha resi migliori”

…E da individuo che ha lottato contro il suo sosia, questo manichino creato ad immagine e somiglianza dal sistema, affacciarsi al mondo e guardarlo con gli occhi di un ritrovato spirito critico
“Anime perse al collasso, lottano per le strade, anime perse al collasso, lottano per un parcheggio (…) lottano per un osso…” (Catrame II)

Una società sempre più devota alla violenza che, da mediatica, diventa routinaria e che, implacabile, si riflette in un senso di solitudine intellettuale nell’individuo libero che, desolato, cova pensieri autolesionisti

“Il senso di oppressione mi strozza, vorrei infilarmi un pugno in bocca, rivoltarmi la gola…” (Apnea)

Per tornare a respirare, dopo un’apnea forzata dal mondo esterno, si torna a chiudersi dentro noi stessi, scorati da pensieri cupi, sentimenti di rivalsa e desiderio di solitudine. Isolamento, quarantena contro il virus del genere umano

“Per essere me stesso, ho venduto la mia anima al buio, reietto all’abisso, reietto!” (la bellissima, definitiva, stupenda Streghe)
Un disco che, rispetto al precedente “Nodo alla gola”, tende sempre più verso il metal e ne guadagna in capacità espressiva e descrittiva; la voce rimane vecchia scuola Italiana hardcore segnando una volontà di continuità con la tradizione del punk politico di queste lande.

Un disco di viva protesta, quindi: uno strappo violento, ma ben congeniato, al cielo di carta delle frasi fatte, dei ragionamenti fatti intorno alle leggi e ai decreti fatti dal potere solo per chi riesce a stare entro i limiti dettati da esso, e che, di contro, impone nella sua narrazione e nelle sue armonie malsane una necessaria presa di posizione esterna.

Ripartire, come dice il governo, ma ripartire con metodi e pratiche nuove, diverse prospettive e meccanismi totalmente esterni alle logiche “democratiche e costituzionali”.

Un disco potente nel suono, mirato nei concetti e necessario in tutto e per tutto.

 

Loia-Sotto la mia pelle-2022, Disastro Sonoro Records

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