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Recensione : Le Muffe – Down Down Down

A cinque anni dall'ultimo studio album, "Fuoco e Fiamme", torna la furia iconoclasta de Le Muffe, esuberante trio garage-beat bergamasco fondato nel 2011 e capitanato dal carismatico frontman

Le Muffe – Down Down Down

A cinque anni dall’ultimo studio album, “Fuoco e Fiamme“, torna la furia iconoclasta de Le Muffe, esuberante trio garage-beat bergamasco fondato nel 2011 e capitanato dal carismatico frontman polistrumentista Gianluca “Ol Pjpa” Daghetti, in un ormai rodato terzetto completato da “Sick Boy” Luca Togni al basso/cori e da Alberto Capoferri aka “Bert” alla batteria e cori.

 

Anticipata dai singoli “Ragazzo Beat” e “Bogside“, la nuova fatica della band orobica si intitola “Down Down Down” e si tratta del terzo Lp ufficiale che ripropone e conferma, nei dieci nuovi brani che lo compongono, gli elementi essenziali che caratterizzano da sempre il sound delle Muffe: il ruolo centrale dell’onnipresente organo, un background musicale riconoscibile e granitico (fondato su una sezione ritmica martellante e aggressiva e sulla quasi totale assenza delle chitarre, fenomeno abbastanza atipico per una rock ‘n’ roll band) ma allo stesso tempo aperto a varie sfaccettature; una sezione testi mai scontata né banale, basata su liriche sia autoironiche, sia socialmente pungenti (declamate prevalentemente in italiano, senza disdegnare incursioni nelle lingue inglese e francese, dal caratteristico timbro vocale cavernoso e profondo di “Ol Pjpa”) che si discostano dai cliché del genere per tracciare un percorso originale e inseguire una propria personale via all’interno dell’affollato panorama garage/beat/punk italiano ed europeo.

 

Il disco viene pubblicato il 14 febbraio grazie a una sinergia internazionale tra la label pisana Area Pirata, l’imperiese Party Tonite, la lecchese T.A.C. Records, la bergamasca Tumulto concerti e la francese Pigmé Records.

 

Volendo riassumere la “filosofia” musicale delle Muffe in estrema sintesi, la si potrebbe definire: Pensiero e Azione. E proprio all’insegna del secondo elemento di questa formula vagamente mazziniana si apre la (simbolica) chiamata alle armi lanciata dall’organo acido e irrequieto del brano apripista del disco, “Giunga d’Asfalto“, irresistibile uptempo (prossimamente presente anche su “Bomb Your Brain vol.1“, compilation sul garage punk mondiale in uscita a marzo sulla label transalpina Pigmé Records) che si regge su un ritmo indemoniato. In questo caso non ci sono di mezzo “Risorgimenti” né Paesi da unificare, ma è comunque un brano ultraenergico e scuoticulo che ti fa venire voglia di inforcare di nuovo giacche e/o chiodi di pelle infilzati dalle spille da balia e le vecchie doctor Martens usurate e scolorite riposte da lustri su qualche mensola, per scendere ancora in pista a combattere contro il piattume conformista quotidiano che ci circonda, e per tenere in vita l’attitudine e lo spirito barricadiero del rock ‘n’ roll.

 

Detto di “Bogside“, uno dei due singoli estratti, contrassegnata da un andamento più cadenzato (ma che a metà brano deflagra in una sfrenata cavalcata batteria/basso/organo, prima di rientrare nei ranghi) brano ambientato in (Nord) Irlanda e che decanta le lodi della “vita da pub”, si passa per la breve e concisa “Andy Smith“, cantata in inglese, nome e cognome molto diffuso nel mondo anglosassone (un corrispettivo delle nostre “famiglia Bianchi” e “il signor Mario Rossi” esempio sui libri scolastici) a simboleggiare l’uomo qualunque, poi si arriva all’altro singolo, uno dei pezzi forti del long playing, “Ragazzo Beat“, il cui riff portante di Gianluca all’organo ricorda (felicemente) l’attacco di “It’s about time” delle Pandoras, mentre il testo racconta lo stile di vita del “mondo beat”, tramandato dagli anni Cinquanta a oggi, basato sul principio cardine della Libertà (di essere, di agire, di amare, di interpretare il mondo e di scegliere come vivere la propria vita in maniera autonoma, senza costrizioni né imposizioni dettate dalla società borghese dei consumi e dalle leggi dei “mercati” che oggi dominano e decidono dei destini del mondo intero) e del raggiungimento di essa a ogni costo, pena l’affrancarsi dalle convenzioni e dalle regole dell’ordine costituito di una vita “normale” alle quali tutti sembrano dover adeguarsi prima o poi (lavoro, soldi, stabilità economica, casa, chiesa, famiglia) ai quali il vecchio/giovane “beat” si ribella per inseguire il proprio sogno di una vita fuori dagli schemi, che vuole fare a meno del denaro (cioè l’unica vera divinità riconosciuta e venerata oggi dal “primo mondo” industrializzato,  e unico “valore” odierno su cui l’orco capitalista calcola il tenore di vita di ogni essere umano, mercificando ogni aspetto del vivere in comunità e dell’esistenza degli individui) senza fissa dimora (ma col Mondo intero come unica patria e casa universale) senza impegni a lungo termine, sempre all’avventura in giro per il globo per scoprire nuove realtà e affermare la propria indipendenza dai beni materiali.

 

Chiude il lato A l’ironia acida di “Rockstar“, che prende di mira diversi malcostumi della società di oggi, malata e popolata di gente vanesia e arrivista che pensa solo a come fare quanti più soldi possibili e a raggiungere il successo e la notorietà mediatica (anche quella effimera da reality show e da social network, tra telerimbambiti e “followers”) e che pur di diventare “famosa” venderebbe anche la madre per godere del proverbiale quarto d’ora di celebrità di Warholiana memoria. Ma il pezzo vorrebbe essere anche un monito verso chi mitizza troppo i musicisti “famosi” e miliardari a diffidare dalle persone con l’ego smisurato, che si reputano Dei scesi in Terra solo perché dotati di un qualche particolare talento musicale, snobbando chi gli compra i dischi e va ai suoi concerti, ribadendo una delle regole chiave del punk rock: “Siamo tutti sullo stesso piano, i musicisti non sono migliori del pubblico, chiunque può imbracciare uno strumento e suonare, non è necessario aver studiato una vita intera al conservatorio e avere la puzza sotto il naso per sapere scrivere una (buona) canzone, la musica e l’arte sono attitudine, urgenza, espressione di idee e ideali, non devono trasformarsi in un mercimonio“.

 

Il lato B si apre con “SUV“, altra amara satira sugli stereotipi antichi e moderni che caratterizzano l’italiano medio: pizza, spaghetti, mandolino (mafia…) sole, mare, e a questi ora si aggiunge il Suv, ovvero il mezzo di locomozione-feticcio che per la massa di gente comune rappresenta il raggiungimento, da parte di chi lo possiede, di un qualche status symbol di benessere economico, anche a costo di indebitarsi fino al collo pur di averlo (e la stessa cosa vale anche per i trovati tecnologici all’ultimo grido, l’ultimo modello di i-phone da pagare a rate, la mastodontica televisione smart QLED 4K 75 pollici wi-fi ultra HD da migliaia di euro da sfoggiare nel salotto di casa) perché l’importante è apparire e l’ostentare i beni materiali che si hanno, a discapito dell’intelligenza.

 

Dai francesismi di “Monde de merde” che conferiscono all’album un tocco di colorita esoticità, giungiamo a “Pare“, ancora strutturato su quell’altalena di vibrazioni sonore che ti trascina in cima, poi ti riporta giù, per poi farti di nuovo sobbalzare, e che si ripete anche nella successiva “Step by Step“, altro brano cantato in inglese, fino ad arrivare alla traccia finale, “Tento tanto“, che, con i suoi versi ancora caustici su questo mondo impazzito che si comporta al contrario di come dovrebbe funzionare, chiude in maniera pirotecnica “Down Down Down”.

 

Si chiameranno anche Muffe, ma insomma, questa band e questo album dimostrano, ancora una volta, che la scena rock ‘n’ roll (da non confondere con la parola “rock”, iperabusata e strainflazionata, spesso usata a casaccio dalla vulgata comune) italiana ed europea, almeno a livello sotterraneo, non è affatto ammuffita, anzi, è ancora viva e vegeta, alimentata dalla volontà di rivoltarsi contro la follia di questi ultimi tre anni di restrizioni e privazioni (soprattutto concertistiche, coi palchi frequentati a singhiozzo) e dalla voglia di spaccare tutto dal vivo, quando si potrà ricominciare a suonare in maniera continua e costante. E il combo di Bergamo, nel panorama garage/beat, punta a distinguersi dal calderone attraverso l’utilizzo di testi impegnati e intelligenti, caratteristica che rappresenta un punto in più a favore di “Ol Pjpa” e soci, sonicamente affini ma allo stesso tempo liricamente diversi dalle altre band della scena, che sul piano dell’immaginario trattano tutte degli stessi argomenti (ragazze, sesso, ormoni impazziti, storie d’amore disperato o non ricambiato, l’andare “contro la legge” inteso più come teppismo adolescenziale fine a sé stesso, da “rebel without a cause“, più che per ragioni politiche, e poi i film horror, i B-movies di culto e la fantascienza) concentrandosi sull’attualità.

 

In un mainstream musicale che obbliga tutti all’eccellenza, e in cui tutti si sentono dotti, “giudici” e scienziati, fare schifo e supportare Le Muffe è un dovere morale.

 

TRACKLIST

 

SIDE A
1. Giungla d’asfalto
2. Bogside
3. Andy Smith
4. Ragazzo Beat
5. Rockstar

 

Side B
6. SUV
7. Monde de merde
8. Pare
9. Step by step
10. Tento tanto

 

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