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Recensione : Hrtbrkr – It’s Temporary 2021 Autoproduzione

Ricordo di un’estate trascorsa a cantare il primo dei Velvet Underground, un’altra con Dear You dei Jawbreaker, un’altra ancora con Get Action dei Teengenerate, un’altra ancora con My Brain Hurts degli Screeching Weasel;

Hrtbrkr – It’s Temporary 2021 Autoproduzione

Ogni estate ha la sua colonna sonora. Magari può non piacerti il mare, gli aperitivi infiniti e le canzoni usa e getta da spiaggia, quelle che, dalla latino americana e la house degli anni ’90, si sono evolute fino a diventare di nuovo latino americana e house anni ’90; ma una colonna sonora per ogni estate, personale, appassionata e vissuta, quella ce l’hanno tutte e tutti.

Ricordo di un’estate trascorsa a cantare il primo dei Velvet Underground, un’altra con Dear You dei Jawbreaker, un’altra ancora con Get Action dei Teengenerate, un’altra ancora con My Brain Hurts degli Screeching Weasel;

dischi comprati o prestati, portati da vinile o CD su cassetta per poterne godere in ogni momento, col walkman, perché la latino americana e la house anni’90, presenti ovunque allora come oggi, non invadessero il tuo pensiero, il tuo piccolo spazio personale…

Questo disco esce in cassetta, puta caso: si chiama “it’s temporary” (come l’estate d’altronde) e mi ricorda un’estate in particolar modo: l’estate del 2010.
Ricordo la mia pegeut 107 parcheggiata davanti casa della mia fidanzata di allora. Io ero dentro, la aspettavo per andare al mare, quel mare che le piaceva tanto, quel mare che a me ha sempre fatto schifo. Nello stereo dell’auto, piantato con il saldatore, c’era “King of the Beach” dei Wavves, era uscito da poco e a me piaceva molto e, di fatto, è l’unica cosa piacevole che ricordo di quel periodo: lei mi lasciò nell’autunno dello stesso anno, non pare ma anche una divergenza di vedute sul mare può causare attriti insanabili. Vabbè, alla fine è stato meglio così.
Ascoltare questa seconda prova degli HRTBRKR mi ha riportato a quei giorni, disteso sul seggiolino della mia vecchia pegeut ad aspettare: da quel disco, qui, si recuperano le atmosfere (l’eterno ritorno di Pet Sounds dei Beach Boys nelle estati di coloro che non si svendono a quel senso di abbandono intellettivo che la bella stagione più comunemente intesa impone) ma si dipingono con una forza ed un marciume che altro non può essere che punk: quella forza che ti fa rialzare la testa nonostante il caldo e l’idiozia nazionalista dell’ennesima manifestazione sportiva, quella spinta lo-fi che rende un disco immune da qualsiasi possibile svalutazione dovuta al trascorrere del tempo.

Si parte con Always the same Toxic Shit e già si nota una scrittura superiore alla media, una freschezza poco comune in questo periodo dove mediocri son soliti abbondare. Si prosegue poi con Time Hurts, Summer e I’m Not your Friend fino a Clavicles (provate a scollarvi dal cerebro i fraseggi della chitarra; impossibile!). Spit on My Face è la canzone perfetta per un ferragosto lontano dai gavettoni, dai festeggiamenti spiccioli e dj set un tanto al kilo: riflessiva, psichedelica, come intendeva la psichedelia quel cervello di Big Boy Pete, e, appunto però, sempre e comunque divertente.

Treehouse è la vera pausa riflessiva del disco, un frammento acustico bellissimo e geniale, ma sempre in linea con tutto il resto: le filastrocche Barrettiane son la prima cosa che viene in mente.

Freezing and Flying riattacca da dove si era lasciato e Not Special chiude nell’unico modo possibile: un tramonto, una chitarra, un coro, un po’ di nostalgia, atmosfera da svacco e un grosso “chi se ne fotte!?” scritto sul bagnasciuga.

Il punk, la psichedelia, la filosofia lo-fi…elementi che qui si fondono e creano la ricetta perfetta per un’estate perfetta.
All’inizio dicevo che questo disco mi ricorda l’estate del 2010, ma non è esatto: in realtà la riscrive e la ridefinisce nei miei ricordi, trasfigura quel disco dei Wavves plasmandolo sulla mia persona di allora:
Ricordo la mia pegeut 107 parcheggiata davanti ad una serie di villette a schiera; perché fossi lì, più non ricordo: Io ero dentro, aspettavo una persona che non sarebbe mai arrivata poiché, detto fra noi, in realtà forse non esisteva nemmeno. Forse ero lì, fermo, chiuso in macchina, ad aspettare che mi passasse la sbornia, forse il sole mi dava alla testa e avevo bisogno di un attimo per ricomporre le idee, forse ero lì perché dovevo essere lì e basta. Nello stereo dell’auto, piantato con il saldatore, c’era “It’s Temporary” degli HRTBRKR, ricordo che mi piaceva molto; della sua esistenza non era a conoscenza neanche il suo autore:

sarebbe uscito 11 anni dopo, ma era già lì, al di là del tempo e dello spazio, a ricordarmi le cose più importanti della mia vita, i miei punti d’appoggio: il punk, la psichedelia, la filosofia lo-fi. 

Appunto.

 

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