Dall’Olanda, paese famoso per l’estrema pulizia del pubblico dominio, arriva l’ EP di questo famigerato gruppo che, con insolenza, insudicia il senso del pubblico decoro.
Un attacco alla Crime, rock ‘n’ roll in preda al delirio, è quello che mi arriva subito in faccia in “Into the Muck” (“dentro la merda” in italiano, poesia allo stato puro gente, se per poesia si intende, come me, soprattutto tutto ciò che aulico non è, ma che segnala scoramento e distruzione…e cioè la vita vera);
la voce raschia e sputa sentenze mentre, sotto, la bassa risoluzione dell’insieme strumentale (questo EP è stato registrato totalmente in presa diretta con un registratore Tascam…quel senso di poesia, di vita agra, si acuisce ancora di più nelle mie impressioni) disegna paesaggi fangosi e privi di speranza.
Una falsa partenza e poi, rocciosa e sgarbata, parte Where It Ends, un bel garage frenetico guidato da una chitarra alla Greg Ginn periodo My War dei Black Flag.
La voce mi ricorda dischi Budget della miglior fattura: i New Bomb Turks prima maniera su Crypt, i Candy Snatchers, gli Oblivians di Soul Food…
Una frenesia in odore psychobilly è quello che da la spinta a No More Lies: una chitarra conduce la danza, l’altra rumoreggia e insozza il suono, fino a quando il pezzo si schianta in un finale di feedback e la sei corde rumorosa si mangia per intero il finale del pezzo.
Fischi, rumore, feedback e falsa partenza e poi di nuovo Rock n’Roll cattivo e marcio in Zoekeepers; sul ritornello, un geniale fischio di fondo guida il pezzo verso il finale: di nuovo feedback, di nuovo perdizione.
La bellezza di questo EP, come sempre in questo genere, va scovata nei suoi piccoli dettagli di arrangiamento: piccole cose che paiono sepolte sotto tormentati fruscii e orge sonore, ma che entrano nelle trame della mente di chi ascolta prendendone possesso e fissa dimora in un gioco di sottile ipnosi e lenta dipendenza al suono.
Su On Your Own i Geishas of Doom si cimentano in un Surf marcissimo in odore di Cramps: la voce ultraeffettata nasconde perversioni alla Lux Interior anche quando una delle due chitarre decide di farla finita con l’armonia e spezza il tutto in un pantano di dissonanze che sa di Stickmen with Rayguns e Drunks with Guns (i primi approcci del Punk/Hardcore americano con il Noise Rock: un periodo di sperimentazione e scelleratezza del quale vi consiglio, oltre ai due gruppi sopracitati, anche Fang e i primi No Trend, oltre agli ovvi Flipper…)
Wasteland è un pezzo melodico e contenuto, quasi una parodia del Power Pop, una momento di riflessione dopo l’assalto sonoro subito fino ad adesso:
i Geishas of Doom sanno sorprendere e sanno scrivere, non si adagiano sulla continua ripetizione di una comoda formula già rodata.
Il picco, tuttavia, si trova nella finale “Police State”: un gioco perverso di rock n’ roll dissonante, un tempo di batteria unico che sostiene per intero il girovagare folle degli strumenti a corda che si intersecano spezzandosi a vicenda, senza mai assestarsi su un riff portante:
una macchina che si schianta volutamente contro un muro, un cosciente desiderio di farla finita…e purtroppo la fanno finita sul serio poiché, dopo averci fatto assistere i rantoli di una chitarra morente, i Geishas of Doom la chiudono inesorabilmente, lasciandomi con un bel po’ di amaro in bocca poiché son davvero rimasto ipnotizzato dal loro suono e dalla loro forza esecutiva e, come un tossico, mi lasciano qui a supplicarli per avere ancora un’altra dose…