Ci ho pensato un bel po’ prima di scrivere questa recensione; avevo già recensito i Ghoulies, sempre su Goodbye Boozy, e farne un’altra sempre sulla solita etichetta, in un lasso di tempo così breve dalla precedente, mi pareva un gesto di piaggeria piuttosto manifesta nei confronti della label teramana.
Poi, onestamente, anche se è poco tempo che mi dedico, per lo meno in forma un po’ più ufficiale del solito, all’attività di recensore, mi sono sentito comunque in dovere di svolgere questo compito: questo EP, seppur breve, seppur in un formato così minimale (ma per niente sottovalutabile da qui in avanti: i tempi di stampa del vinile, negli ultimi tempi, si stanno dilatando per le piccole etichette indipendenti, messe in attesa dei mesi per dare la precedenza a produzioni ben più costose e di lusso) è un’opera di cui si deve parlare e discutere!
In principio furono gli ISS, duo punk della North Carolina, ad aprire le danze: campionamenti presi da vecchi dischi Hardcore Punk, stravolti, isolati, mescolati, sovrapposti: il punk riprende da sé stesso per rigenerarsi e creare qualcosa di nuovo e sorprendente (gli ISS, perdonerete l’affermazione perentoria, sono una delle cose migliori che il punk ha da offrire oggi).
Con Big Chungus la palla viene buttata ancora più in là: ci si distacca dal Punk, si prende il taglia-cuci-incolla dei Coil (quelli di capolavori come Horse Rotorvator e Scatology) e si asserve il tutto, nuovamente, al verbo Punk, prendendo in prestito da qualsiasi cosa, genere, rumore, feedback, dolore, grido: il punk come filtro e nessun limite nella forma come unico obiettivo.
Il primo pezzo di questo ep “oops…I crapped My pants” ha una tragicità nel mood e, allo stesso momento, una furia d’esecuzione che fa pensare proprio ai Coil dediti ad una versione ridotta e minimale di sé stessi: una base cupa e desolata accompagna un grido disperato e alienato, eppure si parla di farsela letteralmente addosso durante una comune situazione di convivio…il synth anni ’80, rubato da chissà dove, di Bag of Soup è disturbato da rumore bianco e da una voce in pieno delirio ferino. Self High Five parte come un estratto da “20 Jazz Funk Greats” dei Throbbing Gristle per poi infrangersi in un girettino di synth naif; Big Chungus fa sul serio ma non si prende sul serio, perché è un Punk e la ferocia più cervellicida va sempre smussata con della sana auto-ironia (come insegnano gli ISS, appunto).
Il picco del disco si raggiunge nel secondo lato della cassetta: a real kick in the sax ruba un sax (appunto) da chissà quale vecchio LP Jazz e lo tritura sotto un ritmo serrato di drum-machine; l’atmosfera è claustrofobica nonostante l’evidente comicità del titolo. L’antemica Defecation-Nation chiude il disco con opportuna capacità melodica, regalando un ritornello da canticchiare con una certa fierezza e svelando il Big Chungus-pensiero: l’essere umano contemporaneo, oramai lontano anni luce da quella forma di produzione che regalava allo stesso la soddisfazione del prodotto compiuto (poiché nell’arte di creare esso si adoperava con ingegno ed invenzione), oggi è confinato e ridotto a due soli semplici ruoli: ingranaggio di una produzione frammentata e mero consumatore del prodotto finito, prodotto finito di cui non è più partecipe. Ecco che quindi l’unica soddisfazione rimane quindi la semplice defecazione, qui rappresentato come unico atto creativo rimasto al consumatore, capace solo di mangiare, assimilare ed espellere, retrocesso ad una perenne e freudiana fase anale…non male come concetto.
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