Titolo: Aspromonte, la terra degli ultimi
Regia: Mimmo Calopresti
Produzione: Italia
Anno: 2019
Ad Africo, un paesino arroccato nella valle dell’Aspromonte calabrese, alla fine degli anni ’50 una donna muore di parto perché il medico non riesce ad arrivare in tempo mancando una strada di collegamento con la Marina dov’è di stanza il dottore. Gli uomini, esasperati dallo stato d’abbandono, vanno a protestare dal sindaco; ottengono la promessa di un medico ma, nel frattempo, capeggiati da Peppe, decidono di unirsi e costruire loro stessi una strada. Tutti, compresi i bambini, abbandonano le occupazioni abituali per realizzare l’opera ma per don Totò, quello che detta la “vera” legge, Africo non può diventare davvero un paese “italiano”.
Un film su:
• la voglia di riscatto sociale;
• il legame col territorio;
• l’inevitabile(?) commistione fra politica e criminalità;
• la miseria che – tra l’altro – sottrae i figli alla scuola;
• l’ignoranza che sposa l’omertà;
• l’importanza di sognare (che non costa nulla);
• la dignità;
• la solidarietà senza riserve;
• la malinconia dell’abbandono.
Da vedere perché Calopresti, nel fotografare il dopoguerra, ci parla anche di un oggi che non è ancora riuscito, specie nel Sud Italia, a superare l’ingiustizia e lo squilibrio sociale ricordandoci che, dove manca il potere dello Stato, arriva il potere della mafia.
Lo stesso regista ha definito il suo film un western insolito, inteso come una storia di conquista della civiltà, una sfida alla frontiera dell’umanità; in effetti, la piccola comunità di Africo fa del suo meglio per scardinarsi dalla palude in cui pare immobilizzata, per andare oltre un presente di povertà materiale che provoca, alla lunga, povertà di spirito.
Un bell’omaggio del regista alla sua terra natia e ai suoi compaesani che fa muovere a piedi nudi nel fango.
Nota a margine: la musica è di Nicola Piovani.