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Recensione : :: ACUFENI :: FASTIDI AURICOLARI CONTEMPORANEI #25

Black Mynah, Cristal Spiders, Dwellers Corrupt, Entheomorphosis e Grave Speaker. Sono questi gli ingredienti che abbiamo scelto oggi per alienarci dall'oppressione del caldo.

Black Mynah, Cristal Spiders, Dwellers Corrupt, Entheomorphosis e Grave Speaker. Sono questi gli ingredienti che abbiamo scelto oggi per alienarci dall’oppressione del caldo.

Black Mynah – Worried ‘bout Madame

La band polacca guidata da Joanna Kucharska arriva al suo terzo album, a distanza di cinque anni dal precedente “II”. Da allora Black Mynah ha cambiato veste, diventando un quartetto, e quindi una band a tutti gli effetti. Quello che non è cambiato invece è l’approccio sincero che contraddistingue Joanna sin dagli esordi. “Worried ‘bout Madame” è infatti un ulteriore passo avanti in un percorso di ricerca in ambito noise rock.

La cifra stilistica dei Black Mynah parla infatti di un tentativo di alienarsi da ogni forma di rumore, andando a sondare il profondo, l’etereo, il sognante. Un tentativo andato a segno, che ci consegna una band ormai matura, consapevole di avere ancora margine di miglioramento, ma che non mostra alcuna fretta.

L’album punta decisamente alla resa globale, alla solidità complessiva della proposta, più che a realizzare singoli episodi in grado di catalizzare l’attenzione. In sostanza non possiamo che considerare “Worried ‘bout Madame” come un album piacevolmente malinconico, a tratti ruvido, in cui il sound sporco e deciso di Joanna e dei suoi compagni di viaggio riesce a confezionare un disco freddo, ma mai eccessivamente glaciale, sicuramente dissonante, ma anche molto gradevole.

Crystal Spiders – Metanoia

Detto che “Metanoia” potrebbe senza alcun dubbio essere candidato alla peggior copertina dell’anno, e che ancora non riusciamo a capire come si continui a non dare importanza all’aspetto grafico in ambito musicale, veniamo al disco in quanto tale.

Il power trio del North Carolina, formatosi intorno alla carismatica figura della bassista/cantante Brenna Leath un lustro fa, arriva al suo terzo album in compagnia della Ripple Music, realtà che è spesso transitata su questo nostro spazio, con proposte sempre interessanti.

Non fa eccezione questo “Metanoia”, che ci porta a spasso in un territorio alieno caratterizzato da un pregevole mix tra un heavy rock dalle forti connotazioni blues, e un’acidissima psichedelia 70’s. Ne è uscito un album sicuramente molto grintoso, accattivante ed energico, che, come da tradizione stoner blues statunitense sposa quel sound sporchissimo caratteristico del southern rock made in USA.

Concettualmente ispirato all’idea di “metanoia” intesa come viaggio introspettivo personale in territori inesplorati che trascendono i confini, l’album non è inquadrabile come l’apice della carriera della band, ma come un ulteriore confortante segnale. Al netto della necessità di dover snellire alcune parti che rischiano di appesantire l’ascolto, “Metanoia” è sostanzialmente un buon disco che merita di essere ascoltato.

Dwellers – Corrupt Translation Machine

“Corrupt Translation Machine” dei Dwellers è un concept album che guarda all’essere umano e alla sua fallibilità. L’uomo vive di continui e ripetuti passaggi a vuoto, identificabili come errori, che lo costringono a ricominciare costantemente da capo, in un percorso caratterizzato da impermanenza e dissoluzione. Per riuscire a rendere reale, e tangibile, questa loro idea, i Dwellers (Salt Lake City, Utah) tornano a farsi vivi a distanza di ben undici anni dal loro precedente album.

E lo fanno con un disco che, muovendosi tra buio e luce, mostra di doversi e di sapersi nutrire esclusivamente di contrasti, sonori e non. Improntato su un approccio molto eterogeneo, “Corrupt Translation Machine” riesce a mantenere una linea comune tra i brani senza cadute di stile o intensità. Ad un ascolto più approfondito, si insinua in noi l’idea che avrebbero le capacità per “osare” ulteriormente, andando in cerca di un approccio che possa essere maggiormente graffiante, soprattutto in virtù del fatto che la band mostra di possederne le qualità, sia compositive che esecutive.

L’album mostra con orgoglio un sound personalissimo, fatto di una miscela intrigante tra blues e psichedelia, che riesce ad alienarci dal contesto temporale quotidiano, fatto di fretta, di digitalizzazione, di plastica, di corsa verso il nulla. Un album meditativo che ha il pregio di riuscire a guardare verso territori sonori affini al prog rock ma senza cadere, o eccedere, in virtuosismi autoreferenziali.

Entheomorphosis – Pyhä kuilu

La Svart Records, realtà sempre attenta agli oltranzismi sonori, ci presenta l’album di debutto degli Entheomorphosis, combo finlandese che vanta tra i propri membri figure di spicco della scena underground finnica degli ultimi anni, come Dark Buddha Rising e Mr.Peter Hayden/PH/Enphin. In un contesto così ricco da un punto di vista qualitativo, e di intransigenza, gli Entheomorphosis dimostrano di poterci stare alla grande.

I quattro brani che compongono il loro “Pyhä kuilu” (traducibile come Abisso Sacro) mostrano una band che guarda, concettualmente, alla potenza degli inferi, e alla vorticosa discesa nel Chaos da cui non possiamo emanciparci. Emotivamente intensissimo, l’album si caratterizza per un impatto oscuro, e ipnotico, che mostra grandissima carica. Il loro è un assalto sonoro che guarda intorno a sé a trecentosessanta gradi.

Troviamo infatti elementi drone, doom e avantgarde, il tutto orchestrato a suon di minimalismi e di psichedelia. Un album che quindi non può che risultare inquietantemente votato all’autodistruzione, sonora prima, e fisica poi. “Pyhä kuilu” punta all’estasi sonora del male, e ci invita a percorre un percorso tormentato, e rituale, che possa sublimare il disagio che portiamo dentro di noi.

Grave Speaker – Rays of the Emerald Sun

I Grave Speaker arrivano al loro secondo album, e lo fanno, come in occasione dell’omonimo debutto dello scorso anno, grazie alla collaborazione con la sarda Electric Valley Records. “Rays of the Emerald Sun” riparte laddove si era concluso “Grave Speaker”, ovvero nelle paludi del Massachusetts, dove avevamo lasciato la band, alle prese con il proprio stoner doom dalle forti tinte fuzz e psichedeliche. L’immaginario che possiamo associare a questo nuovo album è sostanzialmente il medesimo.

Una fortissima caratterizzazione che richiama l’estetica 70’s più acida, in cui i Grave Speaker mostrano di sapersi muovere alla perfezione. “Rays of the Emerald Sun” riesce a sondare ancor più a fondo il mondo plumbeo del blues più maledetto, riportando alla luce un’attitudine che, pur se seppellita sotto metri di polvere, è ancora vivissima. Un disco sporchissimo, da gustare – come suggerisce la band – sotto effetti psicotici indotti, che sancisce un notevole passo avanti rispetto al debutto, soprattutto per quello che riguarda la crescita a livello di personalità.

Importantissima in un contesto sonoro, come quello scelto dalla band, in cui il rischio di inciampare in album tutti uguali è fortissimo.

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