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Recensione : Bee Bee Sea – Stanzini can be allright

Cinque anni fa usciva “Day ripper“, il penultimo album dei Bee Bee Sea, e fu l’oggetto di una delle primissime recensioni pubblicate, su questa webzine, da chi vi scrive. In quelle righe, invero ancora piuttosto acerbe, parlavo del trio mantovano (composto sempre da Andrea Onofrio alla batteria, Giacomo Parisio al basso e Damiano “Wilson Wilson” Negrisoli alla chitarra e voce) riferendomi al loro disco come una piccola vittoria della provincia italiana, ancora capace di partorire band genuine, spesso nate proprio per combattere, attraverso la passione per il rock ‘n’ roll, la noia della sua routine quotidiana e il senso di inferiorità nei confronti delle metropoli.

Cinque anni dopo, i nostri hanno dato alle stampe un nuovo Lp – e loro quarto complessivo – “Stanzini can be allright” (realizzato insieme agli amici della label bergamasca Wild Honey Records) ma la sostanza di fondo non cambia, perché anche in questo ultimo lavoro, il concetto di provincia è ancora presente, messa in parallelo con quella statunitense. Il titolo del full length, infatti, si rifà alla punk band dei Gizmos – originari dell’Indiana – e trae spunto dal loro demo album “The Midwest can be allright” (registrato nel 1981, e da cui il terzetto riprende anche il lettering nel logo della copertina). La provincia italiana e la pianura padana come il Midwest americano – considerato la terra di mezzo ed entroterra culturale rurale della “superpotenza” yankee sui mappamondi – il fiume Po come il Mississippi river: un parallelo sovrapponibile (fatte le dovute proporzioni geografiche) tra luoghi in cui ci sono poche opportunità, estati roventi, inverni gelidi, nebbia e umidità che ti spacca le ossa, distese infinite di nulla e non c’è molto da fare, e allora non si può far altro che mettersi insieme e suonare, creare gruppi, “start a band” e far succedere le cose (come il festival Metapalooza, organizzato nei luoghi di origine della band) e inventarsi nuove scene autoctone, se i grandi network ricettivi e le capitali musicali sono lontani e non ti cagano neanche di striscio.

Questa è l’idea di base che ha stimolato la fantasia del terzetto lombardo (ispirato dalla storia dei Gizmos che, con la loro ironia, hanno raccontato la desolazione del vivere in luoghi sperduti in culo a Kristo, giocando con le proprie radici) e ha prodotto quello che, a suo modo, è un parlare delle proprie origini, tra amore e odio, e “Stanzini” è un luogo immaginario (ma anche il nome di una azienda artigianale del loro paese, Castel Goffredo) che rappresenta un universo parallelo che, come il Midwest, ti forma e ti tempra, ti insegna che devi farcela da solo e devi impegnarti il triplo, se arrivi dalla provincia e abiti in Culonia, perché nessuno ti aiuta nelle grandi città dispersive, con l’entusiasmo che sopperisce alle mancanze e alla disperazione. E allora rivaluti le tue radici e cerchi di ricavarne comunque del buono da esse; trasformi un garage in una sala prove – gli “stanzini”, appunto – e fai gruppo coi tuoi amici, crei aggregazione, provi a cambiare le cose e viene anche fuori musica figa (che ti porta in tour negli States e poi viene notata e trasmessa in radio anche da gente come Iggy Pop) come quella racchiusa tra i solchi di questo long playing.

Dodici brani che, partendo da una base garage/glam/punk (l’opener “Holy money“, “You“, “Angel” e il suo croccante outroAngel in church“, “Keep it cool” e il suo contraltare “Keep it slow“) provano a espandersi lambendo territori vicini all’indie/alternative rock alla Built to Spill o Guided By Voices (“Memories of another life“) osa addirittura una trilogia (“It’s all about the music (slow and fast)“) e chiude tutto con composizioni più elaborate come lo psych/punk di “Time to time” e “Stop elastico“.

Dal Midwest alla Bassa padana, “Stanzini can be allright” può essere considerato una sorta di concept album sui generis che dimostra che l’antidoto più efficace alla boredom dell’essere cresciuti alla periferia di tutto risiede ancora nel motto dei Bee Bee Sea: When there’s no good shit around, you better form a ROK band.

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