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Er Diavolo A Roma

Er Diavolo A Roma: ER DIAVOLO A ROMA di Tiziana Grande Ah, me tapino! Non ho mai sbagliato un colpo nella mia ...

Er Diavolo A Roma

ER DIAVOLO A ROMA di Tiziana Grande

Ah, me tapino! Non ho mai sbagliato un colpo nella mia eterna vita ma ora eccomi qua a dover recitare un tristissimo mea culpa. Io, il Diavolo, l’antico e potente Principe delle Tenebre. Vi racconto, vi racconto, con la speranza di riuscire ad esorcizzare in questo modo lo smacco e l’umiliazione da me subiti.
Come sapete, sono titolare di una ditta del tutto speciale, l’Inferno, e gestisco un lavoro non facile: dannare eternamente una pletora di peccatori che cresce esponenzialmente col passare dei secoli. Insomma, una vera seccatura.
Durante il terrificante Anno Demoni 2014 ho avuto un crollo psicofisico (eh, capita a tutti.). Gli Inferi sono giunti al collasso, il sovraffollamento ha intasato i Nove Cerchi ed intere legioni di Angeli Caduti hanno dichiarato uno stato di agitazione ad oltranza per le cattive condizioni di lavoro.
Dopo aver mandato al diavolo (ops!) i miei subordinati riottosi e rispedito in Purgatorio qualche miliardo di peccatori, ho deciso di prendermi una vacanza nel mondo degli umani.
Un giorno a caso decido dunque di mollare per un po’ le ingestibili fiamme infernali e mi accingo a risalire dal centro della Terra. Sbuco da un pozzo detto di San Patrizio in una località chiamata Orvieto e poi con una folata di vento mi ritrovo a Piazza del Gesù (devo aver già incontrato questo tizio una volta), in una città che sembra essere interessante: Roma, l’Eterna.
Diciamo subito che, appena giunto, ho trovato un che di familiare: cattivi odori di fogna, trambusto continuo e un gran caldo (pare che qua in un certo periodo dell’anno chiamato estate si assista a piccoli assaggi dell’Inferno, una specie di praticantato per i futuri dannati). Mi sono acclimatato all’istante.
Decido di fare quattro passi senza una meta precisa, il tempo non mi manca di certo, vivo nell’eternità e non faccio vacanze “mordi e fuggi”. Incontro subito creature a me amiche che saluto amorevolmente: pantegane grosse come gatti che fanno capolino tra montagne di rifiuti, colonie di blatte che sbucano dalle fessure dei tombini, nubi di mosche che svolazzano ovunque. Aria di casa mia, insomma.
Mi imbatto anche in alcuni tristi figuri che si aggirano tra enormi contenitori di spazzatura, rovistando qua e là: sono molto simili ai miei utenti, gli eterni dannati; anche questi sono sporchi, puzzolenti, cenciosi, coi denti guasti e i capelli unti. Stanno facendo un qualche tipo di tirocinio? Vogliono essere pronti per quando dovrò accoglierli?
Nel dubbio mi avvicino loro porgendo i miei biglietti da visita ma vengo aggredito a malo modo: “Aho’ che vòi? Nun ciavemo gnente! Nun ce venimo da li servizzi sociali!”
“Te possino cecà!”
“Daje! Sei no sbirro o’n Testimone de’ Geova?”.
Questo è quello che sono riuscito a tradurre, purtroppo altre ingiurie mi sono sfuggite: il mio concorrente, quel certo Dio, ha fatto davvero un buon lavoro con la Torre di Babele, devo ammetterlo. Mi allontano, leggermente inorridito: insomma, un po’ di rispetto, sono pur sempre il Maligno!
Giro per un po’ e scorgo poco lontano un bellissimo fiume attraversato da ponti: ne vengo attratto, l’acqua riesce a rilassarmi talvolta, il suo colorito mi ricorda molto il mio Stige. Leggo un cartello: Lungotevere. Avrei voluto ascoltare il dolce rumore della corrente, ma mi è risultato impossibile: adiacente a questo fiume ne scorre un altro fatto di automobili con un frastuono di trombe da far invidia all’annuncio dell’Apocalisse! Provo a scavalcare questo torrente di scarichi e metallo e vengo buttato in terra da un centauro che per giunta mi grida qualcosa come: “E levate! Li mejo de li mortacci tua!”.
Basito a fronte di tale maleducazione, mi rimetto in piedi con un balzo (eh, son pur sempre un demonio), mi scrollo la polvere dal mio bel mantello nero e, che diamine! Piovono escrementi di uccelli! Una brutta esperienza, più brutta della pioggia di fuoco su Sodoma.
Bè, in quel momento ho cominciato a pensare che la vacanza si sarebbe rivelata meno rilassante del previsto.
A grandi passi giungo nei pressi di quello che sembra un Palazzo Governativo, Montecitorio leggo, e, con mia grande sorpresa assisto a situazioni per me assolutamente normali, mi sembra di essere ancora nel bel mezzo del tran tran infernale. Centinaia di dannati invasati si fronteggiano con un blocco di demoni col manganello: volano sassi, bottiglie, fumogeni, grida. Nel Quinto Cerchio degli iracondi, giù da me, è sempre così, ogni santo (ops!) giorno, ma pure qua non scherzano! Vengo colpito da una bottiglia di vetro che mi si spacca sulle corna: era Biere Du Demon, ne riconosco l’odore. Le due fazioni vengono a contatto e, ahimè, senza corna non è facile tenere integra la testa: vedo un sacco di dannati che sanguinano ma, giustamente, se lo meritano, sono peccatori. Mi chiedo quale reato abbiano commesso, gridano “Lavoro, lavoro!” e si lamentano che sono stati licenziati. Dovrò tenerne conto quando tornerò negli abissi: forse dovrò aggiungere un cerchio per queste persone che hanno peccato di Disoccupazione, a quanto vedo sono in tanti. Mi segno un appunto sul mio taccuino e mi allontano, cercando ancora qualche spazio di tranquillità in questa turbolenta città.
Giungo in un’altra bella piazza, di Spagna, leggo. Ma anche qua, tafferugli, fumo, botte, risse, schizzi di sangue, vetri dappertutto. Provo a chiedere ad un passante che cosa stia succedendo e mi parla di una zuffa per una partita di calcio. Partita di che? La mia onniscienza, come sapete, ha qualche limite e mai come in questo momento viene messa a dura prova. Me ne vado, praticamente era meglio che me ne stavo nella Geenna, io cercavo un diversivo.
Annoiato da queste visioni quotidiane mi siedo un poco in un’altra piazzetta chiamata Campo de’ Fiori sotto la statua di un mio vecchio amico, onorabilissimo, col quale mi diletto ancora in lunghe conversazioni, attualmente domiciliato al mio Sesto Cerchio degli eretici.
Mentre quasi vengo assalito dalla nostalgia degli inferi, mi si avvicina un becero grande e grosso pieno di tatuaggi, che emana un odore ben più pungente del mio alito di zolfo. Mi fissa con aria minacciosa e chiede: “C’hai d’accenne?Ammazza quanto sei brutto!”. Comprendo il suo messaggio non tanto dalle parole proferite quanto dai suoi gesti: vuole del fuoco per la sua sigaretta ma non ha formulato la sua richiesta nel modo consono col quale è d’uopo rivolgersi ad una persona del mio rango. Non è certo il fuoco che mi manca, basterebbe che schioccassi le dita per ridurre questo bruto in un mucchietto di cenere, ma mi rifiuto di dargli conto: per quanto la mia presenza fisica non sia certo il massimo, trovo questo buzzurro troppo ributtante per un qualsiasi tipo di contatto.
Eppure, con mia incontenibile stupefazione, il troglodita rincara la dose: “Fijo de na gran mignotta! Me stai a sentì? Sei sordo? T’ho chiesto se c’hai d’accenne, vedi di risponne, llo sai chi sono io? Eh? So’ er braccio destro der padrone de’ tutta Roma, llo sai come me chiammano? Spezzamiggnoli!”.
Mi alzo dallo scalinato, in tutta la mia possanza, misurando oltre due metri d’altezza, e fisso i miei occhi di sangue su quelli di “Sir Spezzamiggnoli” che davvero mi sta facendo ribollire la pece nelle vene. Ma, mi chiedo, dove la trovano tutta questa sicurezza di sé? Ma chi si sentono? E’ da tempo ormai che nessuno si occupa degli umani, né io, né tantomeno il mio concorrente; e qualcosa deve esserci sfuggito di mano, son davvero delle creature orripilanti: ecco perché i miei Nove Cerchi stanno scoppiando! Dovrò fare un esposto per ottenere una depenalizzazione dei peccati, tipo quelli minori, la gola ad esempio, o la tendenza al furto e alla lussuria, se no qua io non ci sto più dentro. E dove li metto tutti questi disgraziati? Questo elemento, ad esempio, questo Spezzamiggnoli, lo vorrei incenerire all’istante ma tanto so che poi me lo ritrovo alla porta con tanti di quei peccati da scontare che non so manco in quale cerchio sbatterlo. Che se ne stia ancora in questa fogna di paese. Decido comunque di farlo tremare un po’ e con una voce tuonante e cavernosa, più spaventevole dell’apertura del Settimo Sigillo, annuncio: “Io sono il Diavolo!”.
E che fa lo zoticone? Si dà una grattata alle pudenda e gracchia:
“Er Diavolo a Roma? E che ce fai qua? De che te occupi? Spaccio ar Pigneto? Mignotte su a Togliatti? Furto con scasso ai Parioli? Appalti? Monnezza? Campi de’ zingari? Stai in politica?Ahò, se nun c’hai da fà vieni co noi, co ‘sta faccia brutta che te ritrovi n’ lavoretto to trovamo”.
Rimango senza parole. Mi chiudo nel mio mantello nero, incapace di proseguire questa umiliante conversazione. Ma dove sono capitato? Ma che posto è questo? Mi dileguo, lanciando un’ultima disgustata occhiata a Spezzamiggnoli che sta sputando un grosso grumo di muco verde per terra.
Provo a bighellonare nella speranza di farmi passare la stizza, ma è inutile. Il caos di questa città è lo stesso che ho lasciato all’Inferno, se non peggio. L’aria è irrespirabile, in dieci minuti ho già assistito a tre risse per un parcheggio, i clacson e le sirene picchiano incessantemente sui miei poveri timpani. Eppure ci sono dei bei monumenti: decido di comprarmi una guida illustrata da gustarmi in pace seduto al fondo dell’abisso, con un bel sigaro e un bel bicchiere di whisky invecchiato. Si perché ho deciso di tornarmene a casa. Questa vacanza è stata una pessima idea, lo ammetto. Sono anche stanco, ho fatto chilometri a piedi, potrei aprire le ali ma non voglio dare troppo nell’occhio. Ora, il mio unico desiderio è tornare al Pozzo di San Patrizio e calarmi verso la mia tana che mai come in questo momento sto rivalutando.
Ma l’impresa non sembra troppo facile, se ho deciso di non volare. Bisogna giungere ad una Stazione Termini e da lì prendere un treno. Sono al centro di una grande piazza, c’è una maestosa Basilica con un’enorme cupola; qualcosa mi dice che sono già stato qua, forse è quella strana sensazione che ti prende quando hai sognato un posto e ti ci ritrovi in futuro. Una tizia vestita di bianco mi si avvicina con la foto di un papa, ha una grossa croce attaccata al collo: non so perché ma mi sento a disagio, non mi fido, la scanso, ne ho già abbastanza degli umani, preferisco vederli bruciare tra le fiamme. Sono misantropo? Da oggi ancor di più!
Mi informo su come raggiungere questa fantomatica stazione dei treni e mi viene farfugliato che dovrei prendere un bus, o la metro (sottoterra, interessante!), ma c’è sciopero (anche qua?) e non si trova neanche un taxi. Qualcuno mi ha consigliato di recitare delle preghiere.
Ma sono pazzi?
Mi appropinquo ad un capannello dove alcuni di questi disperati aspettano un mezzo pubblico, mi fanno tra la pena e lo schifo. Mi metto in attesa anch’io, ho tutta l’eternità davanti. Passano le ore…
C’è chi piange, c’è chi bestemmia (un po’ di conforto!), c’è chi urla al telefono che è in ritardo al lavoro, c’è chi si mette gambe in spalla e rinuncia. Qualcuno si lamenta che siamo nella fascia oraria protetta e un diamine di autobus dovrebbe passare prima o poi. E passano le ore…
Eternità o meno, mi rompo le corna anch’io e decido di prendere in mano la situazione. Come sapete non sono in grado di fare miracoli ma solo prodigi (sottigliezze). Mi paro davanti al traffico, apro le braccia, col mio imponente mantello nero, pronuncio qualche arcana formula e tutto il trambusto di macchine si ferma. Quelle in doppia fila si sollevano in aria facendo spazio nella carreggiata, sistemo i parcheggi, tiro su i cassonetti rovesciati, blocco i semafori, le moto e le orde di pedoni. All’orizzonte si vede apparire una chimera: un autobus di linea, vuoto. I disperati al capannello spalancano bocche e occhi, cadono in ginocchio e qualcuno farfuglia: “Grazie a’ ddio!”. Leggermente infastidito numero l’autobus con un bel 666 luccicante, insomma qualche piccola soddisfazione ogni tanto.
Il mezzo si ferma al capannello. I poveracci ciondolano ancora tra lo sbigottimento e la pura felicità:
“’ndo va ‘sto 666?”
“Ma è un autobus d’emergenza, nun esiste il 666”.
“L’avrà messo er Comune, pe lo sciopero”.
“Ma va a Termini?”.
Annuisco. Andiamo a Termini, è lì che devo prendere il treno. Faccio salire questi meschini, darò loro un passaggio e che non si dica che sono privo di magnanimità! E poi comunque devono indicarmi la strada. Un disgraziato, giustamente mi fa notare:
“Ma chi è er conducente?”.
Ed io con un inchino, rispondo:
“Sono io. Sir Diavolo!”
Lui si gratta il capo:
“Er Diavolo? A Roma? Ambè, mejo che gnente”.

Illustrazione di Enrico Mazzone

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