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Lettere Dal Pianeta Tricolore – 4. Temperatura (cera E Fosforo)

Lettere Dal Pianeta Tricolore - 4. Temperatura (cera E Fosforo): Lettere dal pianeta tricolore – 4. Temperatura (Cera e fosforo) Racconto di Daggo Roschi   Maggiormente si e...

Lettere dal pianeta tricolore – 4. Temperatura (Cera e fosforo)
Racconto di Daggo Roschi

 

Maggiormente si esplora e si conosce l’ecobiologia di Anxu, maggiormente sorprende la sua povertà d’organismi e forme.

Quando le sonde iniziarono a scandagliare la terraferma quel che trovarono non fu molto dissimile da quel che avevano scoperto anche in mare.

Le variazioni, nei piani corporei e negli organismi, per quanto presenti e ragionevolmente riconducibili a un processo di evoluzione biologica in atto, risultarono assolutamente misere.

Experidi, nient’altro che experidi, come se il pianeta non tollerasse l’esistenza d’altro.

Alcuni avevano aggregati cellulari moltiplicate in numero, altri tessuti vagamente modificati, ma in generale tutti condividono le strutture primarie che fin da subito le micro macchine evidenziarono nelle forme acquatiche.

Era come se, su questo strano pianeta, la vita non si fosse poi impegnata molto nell’esplorazione delle possibilità offerte dalla materia.

La principale differenza tra experidi dell’entroterra e creature della costa, se vogliamo trovare una caratteristica che faccia da discrimine comune, è la maggior presenza, negli organismi che vivono in ambienti più asciutti, di organelli cellulari che ho battezzato paraffinosomi.

Le micro macchine e i test gli avevano già individuati anche nelle cellule degli experidi che vivevano in ambiente acquoso, ma in essi erano meno rappresentati. Gli organelli funzionano come sacche d’accumulo per delle miscele di paraffine, composti variamente prodotti dalle forme di vita autoctone, che gli organismi sfruttano in maniera molteplice. La biochimica di Anxu usa le lunghe catene di carbonio come molecole di riserva energetica a lungo termine e, contemporaneamente, esse costituiscono una fonte d’inerzia termica.

Fondamentalmente, durante il giorno, gli organuli sono riscaldati dalla luce concentrata dalle chiome di vetro e dal calore metabolico. Questo fa sì che l’interno dei paraffinosomi passi da una forma metastabile a un altra. La notte, di contro, quando le temperature si fanno più rigide (in alcuni luoghi le acque superficiali arrivano a congelare), gli organuli passano nuovamente di stato, trasferendo all’organismo il calore immagazzinato e garantendo alle cellule una temperatura relativamente stabile. Questo adattamento rende facile agli experidi mantenersi nel loro intervallo di funzionalità biologica, proteggendoli dagli sbalzi termici senza impegno metabolico. Di fatto usano un organulo d’accumulo biochimico come un adattamento per migliorare la propria resilienza climatica.

D’altra parte, ed era prevedibile perché la questione della temperatura è fondamentale per le forme di vita di numerosissimi pianeti, questa non è l’unica strategia sviluppata dagli experidi per proteggersi contro gli sbalzi termici.

Laddove le forme acquatiche di moltissimi mondi sono esonerate dall’esigenza di simili meccanismi di compensazione, sulla terra, dove le variazioni termiche sono maggiormente intense, quasi tutti gli organismi experidi presentano la capacità di inglobarsi in un esoscheletro dalla matrice schiumosa.

Questo è formato da sottili pareti di calcare e da catene di molecole che si comportano, per via della loro stessa struttura, come reticolante, formando una serie di intercapedini e sacche d’aria ferma. L’isolamento con questa tecnica è risultato ben sviluppano negli experidi che vivono nelle zone più fredde, e ho potuto esaminarne diversi imbozzolarsi durante la notte.

Assieme ai già citati ossidi del silicio e del ferro, i carbonati di calcio sono i composti minerali più abbondanti del pianeta, ed è particolarmente funzionale e attendibile che parte degli organismi che lo abitano riescano a incorporarlo nella loro biologia; la vita difficilmente lascia non sfruttata una possibile risorsa, anche se su questo pianeta, a cotanta solerzia chimica, non sembra corrispondere pari impegno in termini ecologici e di radiazione di specie.

Avendovi introdotto i gusci in carbonato, colgo l’occasione per portare alla luce un secondo processo biotico; l’ho potuto osservare per la fortuita presenza di depositi di fluoruro di calcio nella zona esplorata dalle sonde, aggregato in forma cristallina nei suoli di tutta la zona, e ritengo sia molto importante.

Gli experidi, lo avrete capito, sono creature sotterranee.

Questo implica che, quando scavano, possano imbattersi, oltre che in terreno morbido, nella nuda roccia. Le creature però, tra i loro mirabili adattamenti, possiedono un sofisticato sistema per superare simili ostacoli litici. Questi non vengono affrontati con specifici organi meccanici quanto con l’ausilio della chimica: in presenza di fosfiti calciche, ad esempio, gli experidi sono in grado di far reagire l’acqua e l’anidride carbonica generate dal loro metabolismo con quest’ultima, liberando carbonanti e acido fosforico.

Il primo prodotto, come anticipato, è usato per costruire bozzoli, rinforzare per secernimento gallerie, o semplicemente, data la sua elevata solubilità, disperdersi in soluzione acquosa.

Il secondo invece, con la parsimonia energetica tipica dei processi biologici, viene riciclato per consumare le molecole di esacarbite-edu in sostituzione dell’ossigeno.

Nel processo si formano tre molecole di metano e tre di tetrafluoruro di carbonio.

I metani poi, a loro volta, sono aumentati dall’ossigeno per respirazione cellulare, mentre i fluorati, poco solubili in acqua, si allontanano dall’organismo e fuggono infine verso l’atmosfera.

La reazione ovviamente non avviene in questi precisi termini e, anche se quello che si osserva alla fine sono i prodotti elencati, in realtà i passaggi sono molto più numerosi e gli intermedi di reazione variegati. I dettagli, anche stavolta, saranno reperibili nelle opportune memorie, ma per adesso mi interessava solamente farvi comprendere la capacità di far reagire il fluoro degli experidi.

Ho evidenziato questo processo perché sono relativamente certo che sia questa capacità metabolica la causa delle alte concentrazioni di composti di fluoro e carbonio misurate in atmosfera. Si tratta di molecole cruciali per Anxu, che contribuiscono in maniera fondamentale all’innalzamento della temperatura planetaria, e senza le quali non sarebbe possibile l’esistenza di acqua liquida.

Credo sia giusto concludere così la mia presentazione degli experidi i quali, seppure la loro diversità sia miserrima rispetto a quella di quasi ogni altro mondo dove è stata trovata la vita, hanno comunque ancora innumerevoli sfaccettature da mostrare, tali da poter occupare una smisurata quantità di spazio di codifica e riguardo alla cui biologia ci sono intere memorie. Una volta arrivate, consultandole, potrete conoscere i dettagli circa gli experidi che rubano la luce di altre colonie, quelli relativi ai predatori, i semi autotrofi e le molte altre variazioni sul tema messe in scena dalla natura.

Per adesso però possiamo sorvolare su questi temi, che non sono cruciali relativamente agli argomenti che voglio trattare nelle mie lettere.

Quello che farò invece è concentrarmi sul fatto anomalo: perché su Anxu ci sono solo experidi?

Perché la sua terra del color della ruggine non ospita altre creature e il suo mare è un deserto? Perché non ha microrganismi? Perché non c’è traccia di nessuna vita acquatica? Perché c’è solo un piano corporeo e per giunta da organismo complesso? Perché è abitato da creature con una biochimica altamente efficiente nell’usare le materie prime disponibili e al contempo totalmente prive di lacune metaboliche? E perché poi, di fronte a una così tale completezza biochimica, si affianca una così evidente assenza ecologica? Perché un’infinità di spazi ecologici è lasciata vacante?
Da un punto di vista formale, il pianeta tricolore è un insulto a tutto quello che sono le reti trofiche e le piramidi ecologiche, nonché al contempo un qualcosa di assolutamente affascinante: quale evento può aver estinto tutte le forme di vita di un pianeta, comprese le più semplici, lasciando solamente un organismo superiore?

Per quale motivo un simile organismo, inizialmente immerso in un ecologia aliena rigogliosa, non ha accumulato disfunzioni metaboliche silenti tali da ucciderlo al momento del collasso dell’ecosfera?

Nessuna creatura anatomicamente complessa, in nessun mondo, produce tutte le molecole che le servono per vivere: esse vengono reintegrate scambiandole con altri organismi, perché su Anxu è esistito un organismo in grado di produrre da solo tutto quel che gli serve?

La scoperta di un ecologia aliena così atipica avrebbe dovuto essere una gioia ma, nella sua incomprensibilità, è stata a un tormento in grado di monopolizzare completamente la mia attenzione.

La soluzione, per quanto assurda, l’ho trovata rinnegando tutto ciò che è ordinario.

Abbandonando la voragine di potenziale che avvolge il pianeta e andando poco oltre la sua area di influenza gravitazionale, c’è qualcosa di talmente meraviglioso da aver attirato l’attenzione della mente astrofisica di bordo, ma per conoscerla dobbiamo abbandonare il pianeta tricolore e spostarci altrove.

Nel dominio della sua stella.

 

-Fine spazio codifica

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