Una proposta davvero molto interessante quella del trio inglese Darkstar, in bilico tra monsignor William Bevan (in arte Burial) e una punta di quell’elettronica eclettica dei Radiohead, un breve retrogusto ambient-techno, tutto ciò in una atmosfera intrigante, malinconica e anche un po’ stralunata, molto vicina a quella del pop ipnagogico, certo con un po’ più di bassi…
Riassumendo brevemente le tracce, in primo piano troviamo il pezzaccio Gold che sa avvolgere e coinvolgere con le sue cadenze di piano e vocals, subito dopo una sorta di intro, In The Wings, che rimanda quasi al classicismo moderno. Si passa poi ad un sentore di synth-pop con Deadness. Il disco è poi un susseguirsi di melodie e voci ipnotiche con ritmi più o meno dancefloors, come la bellissima Aidy’s Girl Is a Computer.
A mio parere questo disco rappresenta bene la nuova via da percorrere per un genere come il dubstep (ormai si dice già post-dubstep) che sembrava rischiare un troppo rapido esaurimento di benzina, ma che in realtà ha ancora molto da esplorare e molto da dire, se riesce ad assumere forme disparate.
Come nei casi di Burial, Mount Kimbie, Desolate, Scuba e Clubroot si cerca di tracciare un percorso che mira meno ai dancefloors e più ad una nuova estetica della musica dub/dubstep ed elettronica in generale; qui però di nuovo c’è che si svolta marcatamente verso il pop, senza però smettere di strizzare l’occhio a quelle melodie un po’ cupe tipiche del nuovo orientamento post-dubstep.
un disco questo che sembra nascere proprio dalla volontà di esplorare le potenzialità offerte dalla commistione delle “scoperte” del filone dubstep meno violento, con un bel po’ di influssi di cultura musicale degli anni zero.
Hyperdub fa un’altra volta centro dunque, ma stavolta con ritmi e melodie che non ti aspetti, i Darkstar fanno centro e si propongono come una nuova voce che speriamo non si esaurisca in fretta, ma si amplifichi portando nuove idee.
Voto 8/10
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