In questi giorni di lutti nazionali e programmi a reti unificate è difficile restare calmi e indifferenti come diceva quel tal catanese. Non sappiamo se si sia chiusa una stagione politica, di certo, guardandoci indietro, abbiamo un’unica certezza, che pensiamo di poter allargare a tutti quanti voi state leggendo: stiamo celebrando la fine di uno dei creatori del più grande decadimento culturale degli ultimi secoli.
Sgombriamo però il campo, sin da subito. Non siamo qui a festeggiare la dipartita del magnate di Arcore. Non ci interessava da vivo, ancor meno da morto. La nostra vuole soltanto essere un’analisi su quelle che sono le conseguenze dell’impatto, suo, e di tutte le sue marionette televisive, sul nostro malandato paese.
L’italia, scritto volutamente minuscolo, è un territorio in cui per anni si è andati avanti celebrando i fasti di una delle più grandi culle della cultura mondiale. Sono però almeno tre decadi che tutto questo è andato a morire. Siamo diventati un paese che ha smesso di considerarla come un valore da difendere e da promuovere, e non ultimo da perseguire.
Non credo di inventare nulla, sono i fatti e la realtà delle cose a parlare per me. Consapevole del fatto che c’è una larga fetta di popolazione che non se ne vuole rendere conto, mi vedo costretto a pensare che ce ne sia un’altrettanto larga che non è in grado di capirlo, forte di un’indifferenza che spesso sfocia nel disinteresse e nell’ignoranza. In questo contesto, figure come il burattinaio e le sue marionette, hanno trovato terreno fertile per costruire le proprie fortune, coltivando l’ignoranza di stato, diffondendo schemi mentali, finto culturali e comportamentali inaccettabili.
Ne parliamo oggi, nel momento in cui due dei più grandi affabulatori televisivi hanno varcato l’Acheronte per raggiungere l’oscurità dell’Ade. E lo facciamo con la speranza che con loro se possa andare quell’approccio malato su cui hanno costruito le loro carriere, anche se siamo perfettamente consapevoli del fatto che per ripulire le menti degli italiani da questo cancro dovranno passare decenni e decenni. Tra qualche generazione, forse, potremo tornare a respirare cultura, non prima. Un pò come accade per i tabagisti incalliti, che nel momento in cui decidono di smettere, sanno di dover attendere almeno quindici anni prima di riportare i polmoni allo stato originario, al netto di degenerazioni tessutali legate all’età e alla cronicizzazione.
Se, come è evidente, è stata nostra signora televisione a dare l’esempio peggiore (e non poteva essere altrimenti), è altrettanto chiaro come siano stati i mauriziocostanzo, i silvioberlusconi, le mariedefilippi e tutto il resto del circo mediatico che la televisione commerciale italiana ha sdoganato (per non dire imposto) in questi trent’anni i primi (ma non unici) responsabili della metastatizzazione che chiamiamo società civile.
Sono discorsi che sentiamo ripetere da anni. E che per certi versi hanno stufato. Ma, oggi, forti della dipartita dei primi due, cogliamo l’occasione per guardare alla cosa come a un segno che la luce che attendiamo all’orizzonte non sia poi così tanto lontana. Ancora non la vediamo, nemmeno in lontananza, ma almeno sappiamo che esiste. Ci hanno insegnato come non sia affatto elegante parlar male dei morti. Ok, stiamo alle consegne, non siamo qui per affiggere festosi necrologi, ma non possiamo esimerci dal fatto compiuto, e conseguentemente ribadire come sarà necessario un tempo infinitamente lungo per guarire dalle ferite causate dal comportamento dei soggetti di cui sopra “da vivi”.
E per dirla tutta, crediamo fermamente che non possa essere sostenibile l’idea che chiunque giunga negli inferi, tra le mani di Caronte, diventi automaticamente meritevole di elogi a profusione, in nome di una compassionevole pietas cristiana. Non è così, almeno non lo è per noi, che siamo abituati a guardare alla morte da una posizione di privilegio, dal momento che flirtiamo con essa da oltre trent’anni. Morire non può significare chiudere i conti con il passato, con quanto fatto in vita, e ambire alla beatificazione conseguente alla decomposizione fisica in casse di mogano. Sarebbe troppo facile se fosse così. Le responsabilità delle nostre azioni non decadono con la morte del corpo, restano e hanno delle conseguenze. Ma non è solo questo mi viene da aggiungere: se tutti i morti che affollano i cimiteri sono delle “brave persone” , dove seppelliscono gli stronzi?
È quello che uno lascia quando se ne va l’unica vera grande discriminante a cui guardare per giudicare una persona, il resto sono tutte cazzate. E nel caso di personaggi come quelli di cui sopra non c’è nulla o quasi da salvare, anche perché, anche non volendo, per il calcolo delle probabilità, uno in vita qualcosa di buono prima o poi lo combina. Magari se ne pente subito dopo, ma questo è un altro discorso. In questo caso restano solo macerie e nient’altro. Macerie fumanti e tanta, troppa ipocrisia.
I costanzodefilippisignoriniberlusconid’urso sono stati e sono il manifesto vivente dell’inutilità della meritocrazia. La loro storia parla infatti di un approccio alla vita fondato sull’idea che alla fine conti solo arrivare, senza badare a come si è raggiunto un risultato. Per loro ogni mezzo è lecito, purché sia illecito, questo deve essere chiaro. I loro postriboli televisivi prima, e mediatici poi, hanno legittimato forme mentis condizionate da modelli privi di cultura, di spessore, di moralità – e cosa ancor peggiore tutto questo è stato tramandato ai nostri figli, educati in un ambito da cui non potevano non crescere malati, viziati da una patologia incurabile già in partenza.
Il messaggio che la televisione commerciale mauriziocostanzizzata sdoganata di persona personalmente da sua santità silvioberlusconi (e per cui è stata creata la madonnavergine mariadefilippi) è stato, ed è tuttora, quello di un mondo in cui conti soltanto l’approvazione altrui, il successo facile e immediato, la notorietà. I modelli a cui fare riferimento sono quelli della maleducazione spacciata per ironia, dell’ostentazione, dell’ignoranza come vanto, del superfluo che diventa stile di vita, della possibilità di ergersi a giudice supremo sempre e comunque, come fossimo sempre all’interno di un reality show collettivo e gigantesco. Per cui, non è più importante cosa dici ma come lo dici, se buchi lo schermo allora va bene, sei assunto, sei hai dei contenuti invece rischi di risultare noioso, e la gente cambia canale.
Il vero volto del filoberlusconismo e di tutto quello che ne è conseguito, leggasi impoverimento culturale dettato da modelli televisivi diseducativi, è quello di un danno che ad oggi pare, oltre che permanente, anche schifosamente inaccettabile nel suo essere subdolo e falsamente seduttivo, proprio perché apparentemente venduto come vincente. L’introduzione della mercificazione come unico metro di valutazione, secondo cui tutto è in vendita, in ogni ambito, sociale, politico, etico non può poi portarci a stupirci se i neolaureati decidono di andare a lavorare all’estero. Al posto loro, chi resterebbe in un paese come questo, dove la preparazione culturale, non solo non serve, ma viene osteggiata? Giusto un vecchio noioso come il sottoscritto che continua a credere che ci sia una sanità da difendere e da cui trarre, nonostante tutto, quegli insegnamenti di vita che possano permettere di crescere internamente.