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Recensione : The Rotten Apple File-ovvero di come si perda tempo a discutere di fenomeni da baracca mentre là fuori esplode tutto.

Per narrare ciò, Rotten Apple, fa tesoro del precedente, di pochi minuti in verità, esperimento e utilizza le sue conquiste in un unico percorso sonoro senza interruzioni ....

The Rotten Apple File-ovvero di come si perda tempo a discutere di fenomeni da baracca mentre là fuori esplode tutto.

Mentre qui mi è capitato di rileggere per l’ennesima volta “la trap è il nuovo punk” detto da uno che il punk l’ha vissuto e ne è stato un protagonista negli anni ’80 (poi dopo no, come si evince dalla sua stessa affermazione) là fuori, dove le cose accadono senza l’inutile spinta di polemiche fini a se stesse, ci son movimenti che maturano, cambiano muta, si evolvono e danno vita a interessantissime sperimentazioni.

Certo, dalla trap italica ci si potrebbero pure aspettare delle evoluzioni e delle sperimentazioni (non sarebbe impossibile) ma, nella felice attesa che queste non siano solo partecipazioni a San Remo e ospitate in programmi di costume, preferisco continuare a parlarvi di un genere che, qui su IYE, son solito affrontare con ricco entusiasmo, e cioè l’Egg Punk.

Mark Winter ha militato in svariate formazioni, principalmente i Coneheads e i CCTV, che questo genere hanno spinto ed inventato. Di recente Mark si è messo in proprio con l’evidente desiderio di buttare la palla un po’ più in là: ecco che ci ritroviamo per le mani Rotten Apple, sigla dietro la quale Mark inventa, sperimenta e ci delizia.

Partendo da quello spirito meccanico, sintetico e volutamente spoglio di ogni vezzo strumentale, Mark licenzia in completa solitudine due dischi stimolanti che lasciano intuire eventuali evoluzioni di un genere che si sta rivelando, ogni giorno che passa, sempre più interessante e, per fortuna, diffuso intorno al globo tutto (anche qui da noi!).

Si parte dal 29 Luglio 2022 con la cassetta autoprodotta “The Psychedelic Fucks: Fuck the Sixties”, una collezione da 17 tracce in 13 minuti



Una sperimentazione riuscitissima tra il Daniel Johnston del rivoluzionario “Hi, How Are You?”, un Kraut Rock ridotto a suoni da Game Boy, saturazione del suono che diventa talmente ipnotica da diventare psichedelica, gli Half Japanese di Loud e accenni di World Music.

Con veramente molto poco, Winter fa davvero parecchio: la sua capacità di attirare l’ascolto su 17 schegge impazzite, che pur nella loro brevità vivono di una completezza più che esaustiva e che, messe insieme, formano una geografia sonora dettagliata, ha davvero dello straordinario: riprende la sua esperienza Egg Punk, ne ricicla l’immediatezza e l’autoironia, e ne fa un linguaggio autorevole e degno d’ogni attenzione possibile.

Per quanto ostiche, nella loro ruvidezza e dissonanza, queste canzoni avvolgono e sono veramente capaci di creare un nuovo linguaggio psichedelico. Si rimane davvero incantati e disorientati di fronte ai continui colpi di coda che questo disco continua a incasellare uno dopo l’altro. Uno stordimento piacevole nel quale è impossibile non abbandonarsi e lasciarsi andare.

Discorso diverso, ma anche uguale, per “Mosquito: The Originol Soundtrack”:


Uscito lo stesso giorno di Psychedelic Fucks ma fondato da un unico pezzo di 15 minuti. Il film cui fa riferimento il titolo, ovviamente, non esiste, ma serve all’autore per dare un concetto all’intera esecuzione:

un essere umano si tramuta in zanzara e, in quanto tale, deve accumulare più sangue umano possibile nel corso della sua brevissima esistenza. Non è dunque questa una perfetta metafora su di noi, abitanti di quella fetta di pianeta che viene presuntuosamente chiamata Primo Mondo, e quanto costi il nostro benessere al resto della Terra? Non succhiamo sangue ma ne facciamo versare a litri, questo è sicuro.

Per narrare ciò, Rotten Apple, fa tesoro del precedente, di pochi minuti in verità, esperimento e utilizza le sue conquiste in un unico percorso sonoro senza interruzioni; il risultato è una strada sopra la quale si scorre che è una meraviglia, nonostante i continui cambi di atmosfera e riferimenti: gli Half Japanese alle prese con lo space rock, una psichedelia fredda, senza trucchi e fronzoli, che si apre in soluzioni etniche che profumano di Caraibi e un finale elettronico, ossessivo, dove la genialità risiede in piccole, e sempre e comunque scarne, accortezze di arrangiamento: alle volte basta una nota, un semplice accordo, un synth che va e viene, e nel suo ripetersi mesmerico il pezzo non annoia ma, anzi, coinvolge e sottrae da qualsiasi altra attività. Perfetto.

Volevo inserire tutti e due i dischi di Rotten Apple negli EP di Agosto ma, quando ho iniziato a scriverne, mi son reso conto, man mano che andavo avanti e sforavo sempre più in descrizioni e valutazioni, che questi due lavori meritavano un articolo a parte.
Non so dirvi se sono due capolavori (è veramente troppo presto), ma mi auguro davvero che siano l’inizio di un qualcosa dal lungo e fruttuoso futuro.








 

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