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Serata del 20 dicembre al Bunker Strasse E, Dresda

Anenzephalia, Grunt e Human Larvae mettono a nudo la sofferenza dell’umanità attraverso musica, estetica e contraddizione, sono sempre più necessari.

Dresda ci accoglie fredda e borghese. Non ci aspettiamo di scovare perle di tale liminalità musicale in una cittadina così composta, ordinata, persino accogliente. E invece, nei vicoletti più oscuri, si nasconde il bunker. Un varco sotterraneo, fisico e simbolico, che conduce lontano dalla superficie patinata e ci riporta in un territorio di attrito, di verità scomode, di esposizione totale.

La serata di sabato 20 dicembre al Bunker Strasse E è una di quelle esperienze dal vivo difficili da restituire senza perdere qualcosa della tensione fisica, mentale ed emotiva che l’ha attraversata. Apertura porte alle 19:00, inizio live intorno alle 20:00. Una serata figlia dell’immaginario Tesco, nella venue che ospita anche appuntamenti come Tower Transmissions, con un pubblico composto da figure profondamente legate alla scena.

Ad aprire Human Larvae, subito con volumi altissimi e un set che si impone come profondamente emotivo, personale e intimo, di impatto devastante. Un live partecipato, sudato, dove la degradazione della forma umana diventa linguaggio: tutto è marcio, tutto è decomposizione, tutto è un abbandonarsi totale alla decadenza della carne. Nessun compromesso. Una polemica gridata, con gli occhi al cielo, verso lui o lei o loro, quelli che ci hanno messi qui senza spiegarci il perché, il fine, il motivo. Non rimane che soffrire e dare forma a questa sofferenza.

Il set si sviluppa in una progressione di circa 30 minuti, costruita su texture di fondo dense, attraversate da inserimenti noise generati da una valigia in metallo riempita di lamiere e catene, percosse con violenza rituale. Fulmini vocali lacerano la struttura sonora, portando la power electronics nella sua forma più classica, ma caricata di una tensione emotiva rarissima, capace di arrivare dritta al cuore e alla sofferenza di chi ascolta. La chiusura è brutale e definitiva: Human Larvae termina il set con le mani rotte e insanguinate, come se il corpo stesso fosse stato consumato dal gesto sonoro. Un atto totale.

Segue Grunt, progetto di Mikko Aspa, figura centrale e controversa della scena estrema internazionale, attivo anche in Bizarre Uproar, Clandestine Blaze e Deathspell Omega. Più composto nella forma ma aggressivo, arrabbiato, urlato verso qualcosa di ben definito. Sul palco compaiono tubi, cavi metallici e grate, morsettati con microfoni che diventano immediatamente sorgenti di rumorismi distorti e taglienti. Qui non c’è smarrimento: Grunt sembra sapere esattamente chi è cosa; siamo noi, piuttosto, a perdere il senso. Rimane un trascinarsi di rabbia e dolore che spinge oltre il limite, verso la tentazione di distruggere tutto, concedendoci la libertà, e il lusso, di non ricostruire.

Chiude Anenzephalia, progetto di Brigant Moloch, artista tedesco e membro storico di Genocide Organ, sul palco insieme alla figlia appena ventenne. La scuola Genocide Organ è immediatamente riconoscibile. Il set è marziale, sembra una predica da un pulpito dell’apocalisse: tutto attorno si disgrega e lui ne narra le asimmetrie, le storture, con la classe e la compostezza che lo contraddistinguono. Militarismo industriale nel suono e nella forma, estetica Genocide Organ in ogni dettaglio: occhialini rotondi, camicia scura, visual vintage con richiami grafici anni ’90. Nessun accenno di emotività, depersonalizzazione totale.

Il set è chirurgico ed evocativo; lo guardo immobile, come la sala e la scena richiedono. Nessuna partecipazione fisica, tutto è mente. La voce è composta, narrativa; le parti musicali sono assodate, sicure. La figura mitologica non tradisce. I visual richiamano traffico umano, abusi su minori, immagini di Epstein: non un discorso politico diretto, ma una contestazione sociale, esattamente come ogni provocazione della scuola GO. Emozionante vedere la seconda generazione Genocide Organ sul palco: un passaggio già visto in passato, ma qui riuscito, credibile e potente. La figlia mantiene pienamente lo stile paterno e dei soci storici, senza forzature.

In sala circolano figure note dell’ambiente europeo, tra cui persone legate a Dunkelheit Produktionen e non solo.

La qualità complessiva della serata è altissima.

Usciamo dal bunker senza partecipare al DJ set che seguiva la serata: forse avrebbe potuto diluire le impressioni raccolte dai live, ma la confusione e la stanchezza emotiva sono già enormi e, sinceramente, vogliamo tenercele strette. Dresda ci riaccoglie fredda e vuota. Mentre ci avviamo verso il nostro rifugio per la notte, ci rendiamo conto che questi sprazzi di verità, che mettono a nudo la sofferenza dell’umanità attraverso musica, estetica e contraddizione, sono sempre più necessari. Il mondo che ci circonda è sempre più patinato e omologato, e noi, davanti a momenti di rifugio come questi ci sentiamo ancora più piccoli, indifesi e assaliti quotidianamente da modelli che non ci appartengono. Non ci rimane che rifugiarci fisicamente in bunker umidi, dove possiamo trovare i nostri simili: luoghi pieni di individualismo della sofferenza e di distacco dalla contemporaneità.

Siamo forse una specie in via d’estinzione?

Beh, se anche così fosse… ce ne andiamo facendo tanto rumore.

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