Guanciale d’erba descrive l’esperienza di un giovane pittore e poeta a contatto con la natura, occupato dall’unico bisogno di trovare nuovi soggetti per la sua arte. Il protagonista è uno che adora pensare, che ragiona sulle sensazioni più che sulle emozioni. Di tanto in tanto, ispirato da fuggevoli visioni, sente l’esigenza di comporre un haiku o dipingere una tela. Dopo una passeggiata nel bosco si trattiene per qualche giorno in una locanda dove ha modo di conoscere altre vite: qui ascolta storie, si confronta davanti ad un tè, fa un bagno caldo nelle terme.
Non è un caso se questo è il libro preferito di Glenn Gould, un musicista: Guanciale d’erba si rivolge soprattutto a lui, o ai pittori, di certo non agli scrittori, o almeno non ai narratori: ai poeti, forse, ma non a quelli occidentali. Per questo trovo il libro malriuscito, perché vuole esprimere pensieri che su carta, diciamolo, riescono noiosi e un poco ridicoli. Leggendo frasi come: “Quando scivolo in acqua penso solo e sempre a quel verso di Bai Letien: L’acqua della calda sorgente dolcemente lava il denso unto” rabbrividisco, e non perché stento a credere alle parole del protagonista, ma perché non sento l’esigenza di ascoltarle. Un’artista che si definisce tale non vorrei incontrarlo mai, neanche al bar, figurarsi tra le pagine di un libro… E a ben vedere! Il protagonista non fa che ragionare su cose che possono appassionare giusto le persone superficiali, quelli che hanno bisogno di discutere d’arte invece di sentirla scorrere dentro di sé, in silenzio: e magari vergognandosi un poco.
Altra frase incomprensibile, tratta dal dialogo che il giovane intrattiene con una signora: “Siccome sono un’artista non ho bisogno di leggere un romanzo dal principio alla fine. E’ tutto interessante, qualsiasi brano io legga”
Inizialmente, mi sono attribuito tutte le colpe. Ho pensato che io, da occidentale, non lo potessi comprendere. Una sensibilità, una lingua diversa… poi sono giunto alla conclusione che questo discorso vale solo per gli haiku. Il resto è soltanto colpa sua, signor Soseki. E mi scusi se non sono un’artista.
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