Aveva ragione Albert Camus quando diceva che dentro di noi si può trovare un’invincibile estate anche se fuori, metti caso, c’è un freddo che ti fa rattrappire financo le ossa.
Ovviamente il caro esistenzialista era piuttosto allegorico e, per estate, intendeva la capacità di entusiasmarsi ed interessarsi a tutto, mentre, per il freddo, intendeva la miriade di facce di merda che presidiano il pianeta tutto, talmente una miriade che verrebbe quasi voglia di arrendersi al loro gelo e lasciarsi assiderare.
I Freez, di par loro, combattono il freddo, e le facce di merda, con la loro dose di invincibile estate:
un Garage Pop Surf Rock ‘N’ Roll allegro, a tratti malinconico, sempre e comunque ben scritto e arrangiato; una risposta disincantata, ma comunque risoluta, alla mediocrità generale e, purtroppo, dilagante.
Non posso negare di aver dato un sospiro di sollievo sulle prime note di Icebreaker, canzone che da, non solo un titolo al disco, ma anche un primo indirizzo di riferimento alla raccolta: un fraseggio Surf leggero leggero, senza inventare niente, ma anche senza sembrare citazionisti o derivativi, per poi aprire ad un armonia ariosa e dall’ andamento allegro, pur mantenendo un che di malinconico da fine estate (la stagione, non la condizione interiore come da inizio recensione)
“Ok, qui ci si diverte” pensi, volendo anche distratto, ed inizi finalmente a rilassarti dopo una giornata di lavoro e impegni inderogabili.
I Freez non mancano all’ impegno preso in apertura e continuano a stendere armonie festaiole, ma dove festa non vuol dire divertirsi per forza perché è l’ unico appiglio rimasto, ma in maniera del tutto costruttiva:
arrangiamenti intelligenti, opportuni e ben studiati, fino anche ad arrivare ad un pezzo tirato e che, già nel titolo, fa intuire una certa voglia di Punk Rock; Nothing, pur rinunciando ad una costruzione del brano più meditata, non scalfisce il tessuto del disco ma, anzi, risulta essere quella botta di suono che rinnova la voglia di ascolto e di andare avanti con gli orecchi bene aperti.
Infatti il pezzo successivo riassesta le dinamiche precedenti allo scossone di Nothing, ed è una mossa più che giustificata e sapiente, poiché rende più dolce il gran finale.
Icebreaker si risolve in un finale composto da due pezzi acustici, trasognati, distanti come ricordi rarefatti di un tempo che pareva felice, idealizzato dalla memoria, ma che, a conti fatti, si riesce a rivalutare con la maturità e a porre nella sua corretta collocazione:
c’è della tenerezza e del sentimentale nelle conclusive BAE e June ’22, ma anche un fantasma di inquietante delusione. Un finale che lascia sospesi e che diventa uno spazio, in fin dei conti, per riflettere su stessi.
La bontà di un disco è anche e soprattutto questa: il gruppo, nel volersi raccontare, finisce col raccontare la vita di chi ascolta.
Sinceri complimenti.
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