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Recensione : Class – If You’ve Got Nothing”, 2023-Feel It Records

Io i Class non li capisco, o meglio: non capisco come facciano a saltare di palo in frasca rimanendo sempre coerenti con se stessi, il loro suono, le loro idee. E per questo un po’ li invidio.

Class – If You’ve Got Nothing”, 2023-Feel It Records

Io i Class non li capisco, o meglio: non capisco come facciano a saltare di palo in frasca rimanendo sempre coerenti con se stessi, il loro suono, le loro idee. E per questo un po’ li invidio.

Non è effettivamente da tutti possedere un piglio così deciso tanto da farne un carattere proprio ed essere, a tutti gli effetti, riconoscibili e unici nella miriade di formazioni che si buttano in un universo parallelo e sospeso tra Power Pop, KBD e un tocco di Post Punk.

Altri sicuramente franerebbero nel computo di comporre un brano come Public Void, si impantanerebbero nel tentativo di mettere insieme un portamento Post Punk alla Fall di Live at The Witch Trials, fraseggi di chitarra in odore di Buzzcocks ed un ritornello che sa di Pub Rock quanto una Guinness Lager; perderebbero quintali di spontaneità ed impatto e finirebbero col risultare come una cover band dei sopracitati gruppi/sottogeneri.

I Class invece no, gestiscono l’insieme con sapienza e nelle giusti dosi e, quando ci si ritrova di fronte alla successiva Behind the Ball, non sembra che cambi tutto, eppure lo fa: un compromesso tra Power Pop e primi Slade, Glam Rock primigenio e melodie appiccicose e irremovibili.

Loro sembrano sempre loro e da quanto sono bravi in fase di scrittura pare quasi che questi suoni, queste ritmiche, queste atmosfere, le abbiano inventate loro (il fatto, forse, è che non le ha inventate nessuno a conti fatti: sono un portato storico venuto su col tempo e maturato ed arricchito da miriadi di gruppi e solisti e, quindi, sono un po’ di tutti, anche e soprattutto dei Class che tanto bene le valorizzano).

Il disco quindi plana su tre pezzi squisitamente Power Pop, e squisitamente è davvero il giusto avverbio:
Coward’s Disaster ha tutta la poesia, la forza ed il romanticismo dei Cock Sparrer più romantici (quelli di Out On an Island, pezzo conclusivo di quel capolavoro che è Shock Troops) e Between The Lines la ributta in caciara, Punk Rock che sostiene una melodia alla Buzzcocks (certo, parrà strano che un gruppo dell’ Arizona si ispiri molto a gruppi e sonorità britanniche: ma alla fine, secondo me, son gli americani ad aver ispirato, col Blues, il Rockabilly ed il Soul, in prima battuta gli Inglesi, quindi…);

quindi è poi il turno di Two Way Track, una canzone che, di per sé, uno potrebbe pure dire che non è un granché ma, in tempi meno frigidi e asettici di questi nei confronti della musica, avrebbe convinto ogni spirito indirizzato verso produzioni come queste a comprare il disco:

immaginatevi un’era lontana, dove bastava ascoltare un primo estratto da un disco e chiunque ci si fosse riconosciuto, per spirito ed attitudine, sarebbe planato in un negozio di dischi a comprarsi l’intero disco solo con un pezzo come Two Way Track in testa: la canzone che scioglie ogni mistero e dona le chiavi per un disco intero; Power Pop con un bel tiro, melodica e orecchiabile ma sempre con quel senso urticante da Rock ‘N’ Roll ideato e suonato in una sala prove piena di polvere, ragni e umidità.

Di fatto, sempre per tenere l’indice alzato, al termine dell’ipotetico singolo spacca indugi, i Class si rimettono a fare quelli dalle spalle grosse, e un curriculum da galera, con Burning Cash, un Punk Rock inglese con una cadenza da pieno 1977, urlata quanto basta, tirata quanto serve e aggressiva al punto da essere spontanea, figlia di un sentimento genuino e senza troppi fronzoli: in genere è così che il Punk Rock funziona.

Si dice che la disposizione dei pezzi in un disco, se fatta con criterio, faccia scivolare il tutto molto meglio negli orecchi dell’ ascoltatore e, mi pare proprio che i Class questo assunto l’ abbiano interiorizzato e fatto loro: dopo Burning Cash, piazzano un anthem come Just Another Number che, col suo impatto irruento si ricollega al pezzo precedente ma, con la sua melodia, ben introduce a pezzi più riconducibili, ancora una volta, al Power Pop, quello un po’ stradaiolo, un po’ da cori col cuore in mano, di Inspect the Receipt e Oh!The Nerve, per poi approdare ad un mezzo capolavoro armonico come Task Collector: una chitarra pulita introduce ad uno dei pezzi più toccanti di questo splendido disco.

As If It’d Even the Score è un altro pezzo bellissimo (ma, di questo disco, niente è decisamente da buttare), un perfetto equilibrio tra melodia e fatalismo, atmosfera e tragicità.

Peccato, e sottolineo peccato, si arrivi in fondo con Grid Stress, un riassunto più che esaustivo dell’ intero album, dove i vari elementi in gioco nei 12 pezzi precedenti, si fondono e conoscono una, a questo punto, necessaria sintesi; quasi un atto dovuto, se ci si pensa bene, in un disco che, senza inventarsi niente (ma chi si è mai inventato qualcosa, a pensarci bene?) riesce a suonare comunque eterogeneo, ben argomentato, senza punti deboli o riempitivi; quasi un piccolo Bignami a fare da guida nella comprensione del disco ed una garanzia di spontaneità e, soprattutto, di onestà intellettuale da parte del gruppo di Tucson, che suona quel che suona credendoci e, più che calarsi nel ruolo, diventa quel ruolo, lo vive e lo respira.

Impossibile sospettare che tutto questo sia solo il frutto di un lavoro fatto a tavolino, con la sola voglia di suonare per essere visibili, stuzzicare le menti di chi in tali suoni si riconosce con soluzioni furbe e ritmiche capziose e condurlo all’ acquisto:

non c’è traccia di furbizia in questo disco, non ci sono indizi che lascino sospettare una volontà capziosa: i Class sono in questo disco per intero, si raccontano, si mostrano per quello che sono davvero. A noi il piacere di farne la conoscenza traccia dopo traccia.

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