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Recensione : Cowards – God hates cowards

Cowards: un viaggio sonoro tra dolore e resistenza. Scopri il loro nuovo album "God hates cowards" e la verità sul marcio del music business.

L’impero della musica è giunto fino a noi carico di menzogne“, come cantava la buonanima di Franco Battiato e, finalmente, negli ultimi tempi, qualche “addetto ai lavori” ha avuto il coraggio di scoperchiare il vaso di Pandora per far fuoriuscire il maleodorante marciume che, da diversi decenni, domina e corrode molti aspetti del “music business” – in particolare quello italiano – squarciando il velo sulla questione dei finti “sold out” degli artisti nostrani e relative polemiche (tra campagne mediatiche martellanti e biglietti regalati all’ultimo minuto coi contest lanciati dagli “influencers” sui social network, dati via a cani e porci come “offerte speciali” nei supermercati o venduti sottocosto a pochi euro, capienze degli stadi ridotte per evitare clamorosi vuoti e flop nell’era del “sold out” dichiarato sempre e comunque, tour riprogrammati e debiti che poi bisogna ripianare, spesso a carico degli stessi artisti).

Bene che se ne discuta e se ne parli per far aprire gli occhi a più gente possibile (e chi vi scrive aveva già espresso il suo schifato punto di vista, un anno fa, sulle tematiche correlate alla bolla finanziaria tossica dell’organizzazione di parecchi megafestival e di grossi concerti, coi loro annessi e connessi) riguardo al bluff del marketing del mainstream delle sette note, orchestrato da un’industria musicale senza scrupoli che lucra sul culto dei numeri e sull’ossessione del “tutto esaurito” a ogni costo – da ostentare come vanto e dimostrazione di virilità – in molti casi minando la salute mentale e fisica degli artisti (in tanti casi questa qualifica è un parolone, ma tant’è) che, soprattutto se giovani, subiscono crolli psicologici perché non reggono la pressione e non soddisfano le aspettative del “mercato” (che non contempla né tollera il fallimento, dove bisogna essere sempre “al top” e overperformanti in una catena di montaggio il cui unico scopo è lo sfornare a ripetizione tormentoni demenziali e hit estive di merda da portare in tour in televisione, negli stadi, nei centri commerciali, sulle spiagge, nelle arene, nei palasport) della musica dal vivo, trasformata in un “eventificio” drogato da costi insostenibili e meccanismi perversi che, soprattutto nel post-pandemia dal 2020 in poi (una volta finita la sbornia della fuffa dei talent show) sono stati elevati a “metodo scientifico” dai padroni del vapore delle multinazionali discografiche, che hanno capito che il settore dei grandi concerti è una vacca economica da mungere il più possibile finché il “mercato” è florido, e quindi il limone va spremuto a discapito delle tasche delle persone: l’importante per il sistema capitalista è alimentare le sue galline dalle uova d’oro, la competizione esasperata e il profitto in barba a tutto il resto.

In un momento storico così “terra terra”, folle, pericoloso e decadente, a livello musicale e non, è quasi commovente constatare che là fuori, lontano dall’immondizia patinata gossippara del consumismo estremo, esistano ancora esseri umani che suonano solo per passione e dedizione, tenendo accesa una flebile fiammella di speranza in un Paese in coma irreversibile, ma che tuttavia ospita sacche di resistenza culturale che tentano ancora di ribellarsi al destino riservato a un popolo di pecoroni analfabeti funzionali come quello italiota: la morte cerebrale e spirituale. A questa categoria virtuosa – quella dei musicisti che non mirano a entrare a far parte del contesto degradante descritto in precedenza – appartengono sicuramente i Cowards, formazione marchigiana la cui genesi risale ai Nineties, ma che ha trovato forma compiuta solo nel nuovo millennio, dal 2019 in avanti.

La band, di stanza di Recanati (e che nel 2021, purtroppo, ha dovuto affrontare la dolorosa e prematura dipartita da uno dei suoi membri fondatori, il batterista Peppe Carella) è tornata a pubblicare nuovo materiale dopo la raccolta omonima postuma (in omaggio a Carella) del 2022, contenente i primi brani registrati in formazione originale. Quest’anno il combo, divenuto un power trio (formato da Giulia Tanoni alla voce e al basso, Luca Piccinini alla chitarra e voce, e il nuovo drummer Michele Prosperi) e superato lo sconforto dovuto alla perdita del collega e amico, ha deciso di dare seguito a quelle incisioni andando avanti lungo il proprio percorso e pubblicando un nuovo album, “God hates cowards” – uscito su Bloody Sound – che può essere considerato, a tutti gli effetti, il loro vero disco d’esordio propriamente detto.

I nostri sono fautori di un sound di matrice noise/shoegaze/post-punk con venature grunge/stoner e psichedeliche, con alternanza maschile/femminile al canto, e viene naturale immaginare che, attraverso la creatività e la stesura dei nei nove brani che compongono “God hates cowards“, trovino il modo per esorcizzare il dolore rifugiandosi nella composizione di nuova musica in cui riversare i propri sentimenti e le emozioni contrastanti che un lutto pesante può generare: senso di smarrimento, tristezza, desolazione, ma anche l’orgoglio e il desiderio di tenere vivo il ricordo di chi non c’è più e omaggiarne la memoria ripartendo e suonando più forte di prima. L’opener “I hate you” (uno dei due brani già presenti sulla raccolta omonima, insieme all’altro singolo “3020”) è un manifesto sonico a metà strada tra i Sonic Youth e la furia punitiva dei Jesus Lizard, “Storm” gronda di feedback urlanti che si struggono in un brano dalle forti tinte shoegaze, e gli stessi stilemi rabbiosi si ripropongono nella successiva “Stay away“, quattro minuti che profumano di fragranze My Bloody Valentine, mentre “Dystopian city” viaggia veloce su binari post-hardcore. “Barefoot walking dead” ritorna su lidi rumoristici cari alla Gioventù Sonica, “About a friend” costeggia il post-rock, “WTF?” pesta sodo in territori noise-punk à la Hüsker Dü, “3020” è noise rock allo stato brado, e la conclusiva “Scream!” è l’unico pezzo che alleggerisce il mood di lacerante tensione del disco con atmosfere che vanno quasi a lambire suggestioni Madchester alla Primal Scream e Stone Roses.

Non sappiamo con certezza se Dio (o chi per esso, ammesso che esista davvero) odia i codardi, ma in un Paese ridicolo e fallito come l’Italia, la cui classe politica e dirigente fa prostituire il proprio territorio affittando intere isole e città d’arte ai lussuosi capricci degli oligarchi miliardari colonizzatori americani per i loro “sobri” matrimoni, sarebbe il caso che l’amico invisibile/immaginario da lassù faccia distinzione tra i veri codardi e i Cowards, perché questi ultimi vanno preservati per la salute del rock ‘n’ roll italico che, se può ancora permettersi di essere considerato vivo, lo deve anche a un underground culturale che ribolle di idee (contro la mercificazione di ogni aspetto della società odierna neoliberista, il cui unico “valore” è rappresentato dal denaro e, di conseguenza, giudica e qualifica le persone solo in base a quanti soldi hanno o non hanno) e a Lp come questo.

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