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Recensione : Katatonia – The Fall Of Hearts

Una band capace di esibire in maniera cristallina il proprio valore, pubblicando uno dei propri dischi migliori quando realtà dalla storia altrettanto lunga appaiono spesso sbiadite copie di ciò che furono.

Sono passati più di vent’anni dall’uscita di Dance Of December Souls e i Katatonia sono ancora qui a deliziare le orecchie ed il palato degli intenditori con il loro undicesimo full length, The Fall Of Hearts.

Devo premettere che, nel nuovo millennio, il mio rapporto con la band di Nyström e Renkse è stato piuttosto controverso, considerando il momento più alto della loro parabola i due album usciti alla fine del secolo scorso, Discouraged Ones e Tonight’s Decision (senza dimenticare ovviamente il valore del disco d’esordio e del successivo Brave Murder Day) mentre a partire da Last Fair Deal Gone Down i nostri, a mio avviso, avevano parzialmente smarrito quella naturalezza nel proporre brani capace di fondere mirabilmente melodia e malinconia.
Alla band svedese non è mai venuta meno, comunque, la capacità di rappresentare adeguatamente il disagio di una psiche tormentata, e si è così susseguita nel tempo una sequela di lavori di buon livello ma emotivamente non all’altezza dei miei preferiti: la sensazione è sempre stata quella che i Katatonia rinunciassero scientemente alla proposizione di brani lineari, rivestendoli piuttosto ed arricchendoli a livello di particolari, grazie ad un’esecuzione e una produzione sempre magistrale, ma mostrando una sorta di ritrosia nel voler sviluppare a fondo gli spunti melodici che balenavano sfolgoranti di quando in quando.
The Fall Of Hearts sembra, invece, spingere decisamente verso quelle soluzioni “antiche”, e lo si capisce subito con l’ascolto della prima coppia di canzoni: l’opener Takeover che, pur mantenendo il trademark dei Katatonia del nuovo millennio, possiede un refrain orecchiabilissimo, e soprattutto una spettacolare Serein, uno dei brani più diretti ed efficaci composti negli ultimi tre lustri. Ma è un po’ in tutto in lavoro che la premiata ditta Nyström / Renkse non si trattiene, lasciando che l’afflato melodico fluisca in maniera spontanea, come avviene anche in un brano più elaborato e sincopato come Residual o nella robusta Serac.
Al di là dell’obbligo di rendicontare in qualche modo il contenuto del lavoro, citare qualche singolo brano rischia di non rendere giustizia ad una tracklist di raro equilibrio, nel senso che non ci sono realmente punti deboli: i Katatonia proseguono imperterriti a proporci le loro dolenti visioni, grazie ad un sound che, come solo ai più grandi accade, è unico e forse inimitabile.
La voce di un Jonas Renkse sempre più convincente cantore di un malessere sottile eppure penetrante, ci traghetta lungo una dozzina di tracce che non pare mai calare di intensità in corso d’opera presentando, anzi, altri due episodi magnifici con l’accoppiata finale Pale Light, ballata soffusa semiacustca, e Passer, brano “katatonico” per antonomasia.
Non è da escludere che, dopo oltre un decennio all’insegna di una line-up bloccata, la rotazione di musicisti susseguitasi in questi ultimi anni attorno ai due fondatori abbia, comunque, portato nuovi impulsi ad una band capace di esibire in maniera così cristallina il proprio valore, pubblicando uno dei propri dischi migliori quando realtà dalla storia altrettanto lunga appaiono spesso sbiadite copie di ciò che furono.
E questo, se non bastassero le note a dimostrarlo, è un altro segno inequivocabile di grandezza.

Tracklist:
1. Takeover
2. Serein
3. Old Heart Falls
4. Decima
5. Sanction
6. Residual
7. Serac
8. Last Song Before The Fade
9. Shifts
10. The Night Subscriber
11. Pale Flag
12. Passer

Line-up:
Jonas Renkse – Vocals
Anders Nyström – Guitar
Roger Öjersson – Guitar
Niklas Sandin – Bass
Daniel Moilanen – Drums

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