Geminello Alvi – Eccentrici

L'economista marchigiano riporta alla luce l'esperienza e i frammenti biografici di quarantadue personaggi - alcuni famosi e altri sconosciuti - vissuti tra la fine dell'800 e il primo novecento.

Geminello Alvi – Eccentrici

Se tornassimo indietro nel tempo, da adulti nel bel mezzo del 1984, forse rimarremo paralizzati per un po’. Più che altro per capire che cosa dover fare prima, a parte giocarci il Liverpool vittorioso in coppa.

Se avessimo due secondi per entrare in libreria vorremmo vedere bene come fu esposto il libro di Parise, i Siballari, sfogliarne la prima edizione e capire se si sbagliò qualcosa nell’impilarlo o metterlo in vetrina, visto che ok, sì, vendette abbastanza, ma non diventò mai il clamoroso caso editoriale e letterario che invece avrebbe potuto indiscutibilmente essere. Più che l’intensità o la veemenza della scrittura, in quel libro colpisce sempre l’andamento delle storie, che si aprono come in uno stato dissolvenza da cui non riescono poi mai a liberarsi. In Eccentrici di Geminello Alvi (sempre su Adelphi) lo schema estetico e di rappresentazione è sicuramente da tutt’altra parte, eppure, molti dei suoi episodi finiscono per cadere in quella stesso tipo di rete che catturò Parise e in cui noi vorremmo sempre poter rimanere a dondolare.
L’economista marchigiano riporta alla luce l’esperienza e i frammenti biografici di quarantadue personaggi – alcuni famosi e altri sconosciuti – vissuti tra la fine dell’800 e il primo novecento.
Sebbene alcuni di essi come Greta Garbo, James Stewart o Lovecraft abbiano un profilo che avrebbe incoraggiato la strada dell’aneddotica o di un taglio alla “Strano ma vero” della Settimana enigmistica, Geminello Alvi, non segue mai la traccia di notizie curiose od eclatanti, ma anzi si sofferma su stati d’animo e sensazioni insospettabili. In alcuni casi, come Pancho Villa l’autore ci coinvolge in un’epica fulminea, in altri come Oliver Hardy o Buster Keaton in una miseria che non avremmo mai sospettato. Nel caso di Carnet o Mario Bava, ci fa capire che abbiamo perso anni ad assistere a film sbagliati. Non c’è un vero filo conduttore tra tutti i personaggi di cui si raccontano le inconcludenze o i successi, Alvi però sembra scrivere con i loro occhi e nel caso di Andersen parrebbe davvero di trovarsi in una favola, e davanti a Bordiga in una contrattazione con la divisione di se stessi. Non condividiamo lo scettiscismo e il sarcasmo dell’autore contro il materialismo storico, ma le eccellenze che omaggia in questo libro sono sicuramente un antidoto contro la massificazione spersonalizzante che ci circonda. Oggi sarebbe impossibile accorgersi delle potenzialità scenografiche di Buffalo Bill. Il modo in cui Alvi ci racconta di come si arrivò a scoprire il suo mito è indimenticabile.

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