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Recensione : Gustaf – Audio Drag For Ego Slobs

La "città che non dorme mai" ci ricorda che non si è mai troppo vecchi per essere lo-fi. GUSTAF – AUDIO DRAG FOR EGO SLOBS

GUSTAF – AUDIO DRAG FOR EGO SLOBS

Gustaf – Audio Drag For Ego Slobs

Altro giro, altro debutto: questa volta è la Grande Mela a sputare fuori una quasi (a eccezione del chitarrista Vram Kherlopian) all-female band, i (o le?) Gustaf, anno di nascita 2018, fisicamente di stanza a New York, con cuore e mente rivolti a sonorità che hanno ormai quaranta anni sul groppone, ma con una grande etica del lavoro: i nostri (oltre al già menzionato chitarrista, la line up presenta ben quattro ragazze: la grintosa frontwoman Lydia Gammill e poi Tine Hill al basso, Melissa Lucciola alla batteria e Tarra Thiessen alle percussioni e seconda voce) si sono fatti il mazzo in giro per i locali di NYC, con un discreto numero di energici concerti alle spalle e un passaparola capace di farli arrivare sulla bocca di gente come Beck e James Chance, che hanno dispensato apprezzamenti nei loro confronti.

Audio drag for ego slobs“, uscito su Royal Mountain Records (e già preceduto dai singoli “Mine“, “Book“, “Best Behavior” e “The Motions” nei mesi scorsi) è l’esordio di questo quintetto che deve tanto alle ritmiche sghembe e destrutturate del post-punk inglese di fine anni Settanta, in cui sono ben riconoscibili echi di Raincoats, Slits, Delta 5 e compagnia, ma guarda anche all’art-punk concittadino: basti ascoltare “Best Behavior” o la conclusiva “Happy“, con un feeling alla Talking Heads, oppure le pennellate chitarristiche spezzettate che gridano Television nel brano “Dream“.

Ma se nelle succitate band la componente concettuale e socio-politica era abbastanza marcata, queste caratteristiche sembrano mancare nelle Gustaf, più propense/i a un approccio ironico/sarcastico, goliardico e cazzone. Lo stesso brodo di coltura che, in fondo, ha generato, su entrambe le sponde dell’Atlantico, anche loro colleghi contemporanei come V i a g r a Boys, Downtown Boys o Sheer Mag.

La “città che non dorme mai” ci ricorda che non si è mai troppo vecchi per essere lo-fi.

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