27 luglio 2017, finalmente posso vedere e ascoltare Tash Sultana dal vivo.
Scrivo finalmente perché il mio amore per questa ragazzona australiana, tutta swag e pace e amore, è cominciato qualche mese fa, a febbraio per la precisione. Dub Fx, suo padre spirituale, la promuoveva sui social e così, fidandomi di lui, sono finita ad ascoltare lei.
Lei: classe 1995, capelli lunghi, selvaggi, occhi chiarissimi, sguardo da tigre, una voce capace di raggiungere tonalità altissime conservando purezza e precisione, per poi sporcarsi e graffiarsi, graffiandoci, con il migliore dei growl quando richiesto dal brano. Pianista, chitarrista, trombettista, batterista. Un passato da busker e youtuber per gli esordi e i funghetti allucinogeni come musa.
La storia di Notion, ep opera prima della nostra Natasha, comincia infatti con una psicosi derivata da un’eccessiva dose di funghetti ingeriti su pizza. La piccola Tash, allora diciassettenne, non più in grado di distinguere le allucinazioni dalla realtà, si è chiusa nella musica, tra le mura della sua stanza, riuscendo ad uscire ed entrare in contatto “gli altri” solo attraverso la sua arte. Arriviamo così al 2016, anno di pubblicazione dell’ep, prodotto dall’etichetta Lonely Lands Records, udite udite… etichetta indipendente di cui la musicista è proprietaria e fondatrice.
Insomma, tanta roba per una ventitreenne, no?
Ma veniamo al live di Milano. Reduce da un tour mondiale che l’ha vista riempiere club e emozionare il grande pubblico dei festival, un susseguirsi di sold out straordinario considerata l’età e la recente uscita dell’ep, Natasha arriva al Magnolia.
Inizialmente la sua performance era stata pensata per il piccolo palco del Circolo, ma dato l’elevato numero di prenotazioni biglietti, nel pomeriggio del giorno dell’esibizione la produzione ci ha comunicato che il live si sarebbe tenuto sul palco principale. La notizia mi è arrivata tramite social e mi ha lasciata felicemente sorpresa e un po’ interdetta: non sono molti gli italiani che la conoscono, Milano a fine luglio comincia ad essere un po’ vuota e poi stiamo parlando di un giovedì sera.
“Chi li ha comprati ‘sti biglietti?” mi chiedevo. La risposta è arrivata la sera stessa: liceali e universitari italiani, pochi over 30 (sarà che Tash non ha niente a che fare con il solito indie) e stranieri. La stessa Natasha, dopo un paio di brani, si è dichiarata sorpresa, chiamando dal palco gli australiani presenti tra il pubblico (una decina).
Bella, grintosa, solare, decisa, la nostra artista si barcamena tra synth, drums machine, tromba, chitarra e flauto di pan, curiosa aggiunta al sound del disco. Completamente sola tiene benissimo il palco, peccato per qualche momento di incertezza e quindi di “rallentamento” nel passaggio da uno strumento all’altro. I loop aiutano e funzionano, ma a un orecchio attento, e ben memore dell’ep, non sfuggono le imperfezioni, i secondi di pausa in più tra lo strumentale e l’attacco vocale, il “barcollare” della stessa Tash nell’orientarsi in quel cerchio fitto di strumenti che la circonda. Piccoli errori giustificabili se si pensa alla tenera età della musicista, un po’ meno se si pensa al tour mondiale e all’esperienza che ad oggi dovrebbe aver acquisito.
Accanto a me, durante l’esecuzione di Synergy, brano di apertura del disco, una coppia litiga. Lui, evidentemente trascinato dalla compagna, la accusa di gradire la performance solo per il “legame sessuale” che ha con l’artista, lei gli dà del cretino, ma non obietta. Il ragazzo ha in parte ragione.
Tash è bella, si muove bene, è magnetica e intrigante, la voce capace di timbri e sfumature differenti è sempre tenuta in modo impeccabile e quando si sporca fa effettivamente accapponare la pelle e eccitare il pensiero. Tash Sultana sul palco ha sicuramente qualcosa di arrapante, le stesse composizioni hanno un che di sensuale, si pensi a Gemini ad esempio.
Al di là degli ormoni però, il live rivela che qualcosa manca. Ho osservato il palco da diverse angolazioni, ascoltato ad occhi chiusi e aperti, confrontato il mio punto di vista con quello di altri e alla fine sono arrivata ad una conclusione: manca una band.
Natasha si presenta come One-woman band e, come già detto, è all’altezza del compito, il problema sorge però in quanto siamo raramente abituati ad ascoltare questo tipo di live, meno coinvolgente e dinamico rispetto a quello di una rock band, per dirne una. C’è poi da dire che il genere sarebbe più adatto a un ascolto intimo (ai primi approcci in cuffia m’immaginavo di godermi il live seduta per terra fumando uno spliff), di certo non una performance con grande pubblico che balla, salta o poga.
Eppure su Jungle e i pezzi in chiusura s’è ballato, non senza una certa sensualità, limoni sparsi qui e lì e qualche approccio di rimorchio di cui io stessa sono stata vittima inizialmente inconsapevole.
Ci vorrebbe una band a farle da spalla? Sì, l’idea ha sfiorato anche me, se non altro per farla stare più tranquilla, riempire il palco e tenere meglio il ritmo, ma non sarebbe più Tash Sultana e data la dignitosissima performance, il fatto che è alla sua prima esperienza e che, porca miseria, è davvero giovanissima, forse è il caso di darle ancora un po’ di tempo prima di emettere giudizi categorici.
Intanto, io mi sono divertita tantissimo, con me anche le persone che ho portato, che non la conoscevano e che dopo il live hanno sentito il bisogno di ascoltare il disco. Non è forse questa una prova sufficiente della buona riuscita del concerto?
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