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Recensione : GY!BE – NO TITLE AS OF 13 FEBRUARY 2024 28,340 DEAD

Si può tradurre in musica – laddove non riescono ad arrivare le parole – l’orrore e lo sdegno provato, da parte di esseri umani pensanti, nei confronti di un genocidio etnico iniziato nel 1948 (e inaspritosi, purtroppo, da un anno a questa parte) portato avanti dalle politiche colonialiste e imperialiste di uno Stato (nato sulla base di dogmi religiosi e autoinvestitosi della missione di agire, “nel giusto”, per il volere di presunti diritti divini) nei confronti dei popoli che abitano terre non lontane da noi, a est del mar Mediterraneo? Il tentativo di esprimere in note lo sconcerto emotivo è stato interpretato dai Godspeed You! Black Emperor, ormai veterana (con trenta anni di percorso sul groppone, tra pause e ritorni) formazione canadese, dedita a un post-rock quasi interamente strumentale, che il mese scorso ha pubblicato il suo ottavo album ufficiale, “No Title As Of 13 February 2024 28,340 Dead“, uscito sulla label canadese Constellation records e registrato agli Hotel2Tango studios a Montreal.

Un titolo emblematico per il corposo ensemble di Montreal (composto da Efrim Menuck, Michael Moya e David Bryant alle chitarre e tape loops; Sophie Trudeau al violino; Aidan Girt e Timothy Herzog alle batterie e glockenspiel; Mauro Pezzente e Thierry Amar al basso e contrabbasso, coadiuvati da Philippe Leonard e Karl Lemieux alla parte cinematica, con le 16mm film projections) che fa chiaramente riferimento all’ennesima strage di civili (il cui numero di vittime, purtroppo, è quasi raddoppiato rispetto al bilancio del titolo del disco, e tra i morti vi sono migliaia di bambini) che si sta consumando, da un anno esatto, nella striscia di Gaza, una terra martoriata da apartheid (contro gli arabi palestinesi, “rei” di non piegarsi ai diktat dell’imperialismo ebraico che, accecato dalla sua ideologia suprematista, vorrebbe cancellare dagli atlanti geografici e dalla storia i territori della Palestina storica per mettere in pratica un delirante progetto di “Grande Israele” che, rivendicando il diritto a una “terra promessa” che considerano la loro patria storica, ha intenzione di appropriarsi della striscia di Gaza con la forza e col sangue di migliaia di persone ammazzate in quasi ottanta anni di conflitti) e continue ingerenze politiche, economiche e militari (attraverso le cosiddette “bombe democratiche”, un po’ come i loro alleati statunitensi che “esportano la democrazia” in giro per il globo con guerre, morte e distruzione) perpetrate dallo stato di Israele che, indottrinato dal fanatismo politico/religioso sionista nazionalista, e forte dell’appoggio logistico, economico e militare del mondo occidentale atlantista, porta avanti da decenni una campagna sistematica segregazionista di eliminazione politica, geografica e, letteralmente, fisica (intesa come la pianificazione di uno sterminio dei popoli arabi confinanti con Israele, col conflitto che purtroppo si è esteso anche al Libano e rischia di coinvolgere anche l’Iran, con temibili conseguenze nucleari) volta a cancellare le terre abitate dai palestinesi – considerati dal fanatismo sionista come animali da abbattere e “non umani” – attraverso un’oppressione razzista e brutali aggressioni colonialiste, invadendo i territori e annettendoli militarmente e illegalmente al regime dittatoriale neofascista israeliano (magnificato come “l’unica democrazia del Medio Oriente”, dalla propaganda dei media mainstream occidentali) in espansione, che bolla come “antisemita” chiunque osi criticare, anche velatamente, il suo modus operandi in politica estera, mettendo in luce anche l’ipocrisia storica di chi, tramite i suoi antenati, ha patito la terribile discriminazione e persecuzione nazista dell’Olocausto, ma oggi si comporta esattamente alla stregua dei nazisti contro i palestinesi e le genti dei territori confinanti.

Si perdoni il pippone/spiegone, ma era necessario per descrivere gli antefatti e il significato di un long playing intitolato “No title as of…“, e di certo questa rappresenta una forte presa di posizione (seppure non connotata da proclami o slogan politicizzati) contro questa strage quotidiana di persone innocenti, soprattutto se si considera il fatto che alcuni dei membri dei GY!BE (in particolare Efrim Menuck) siano proprio di origine ebraica, e che quindi percepiscano maggiormente sulla propria pelle il senso di ingiustizia per gli efferati crimini di guerra commessi ai danni di povera gente in terre dimenticate da Dio. I nostri affidano alla musica l’arduo compito di dare senso compiuto all’esternazione dei propri sentimenti di angoscia, rabbia e impotenza riguardo questa seconda Nakba e catastrofe umanitaria messa in atto dai coloni(zzatori) israeliani ai danni dei palestinesi nei territori occupati abusivamente, e i sei brani del full length (che presenta una scarna copertina, tratta da una foto di Stacy Lee) riflettono la natura anticapitalista (manifestatasi anche nei dischi precedenti, come “Luciferian towers” e “G_d’s Pee At State End!“) del combo canadese, che arriva a forgiare un’opera dal feeling apocalittico che, tra i consueti saliscendi sonici, crescendo, droni e field recordings, riesce nell’intento di trasporre, in emozioni sonore, il crudo realismo che ogni guerra comporta, col suo carico di disperazione, dolore, oscurità, amarezze, cieca violenza, incertezze, paura, desolazione, terrore, malinconia, empatia per il massacro dei più deboli e disgusto per la ferocia degli invasori: se “Sun is a hole sun is vapors” ha l’onore e l’onere di introdurci in questo cupo viaggio atmosferico, “Babys in a thundercloud“, “Broken spires at dead kapital“, “Raindrops cast in lead” (l’unico pezzo che vede una presenza vocale, quella di Michele Fiedler-Fuentes) e “Pale spectator takes photographs” sono lì a dimostrarlo. Ma, dalle macerie dello sterminio, i nostri vogliono far ugualmente vibrare nell’aria un anelito di speranza nella conclusiva “Grey rubble – green shoots” in cui, nonostante questo nuovo secolo non abbia imparato nulla dalle atrocità del passato, che si ripetono a causa delle scellerate e distopiche azioni di ingordi guerrafondai senza coscienza che stanno trascinando l’umanità verso la Terza guerra mondiale, l’amore resterà più forte dell’odio, e il sole tornerà a splendere sui letti di cenere.

“Dall’altra parte del mondo è in corso un genocidio di migliaia di persone innocenti, di che stiamo a discutere? Ha ancora senso dare un nome alla musica?” si chiedono, indignati, i Godspeed You! Black Emperor, che in “No title” regalano ai nostri timpani drammatica bellezza, offrono una delle loro prove più solide, un “cessate il fuoco” simbolico, continuando a suonare come atto di Resistenza e, come sempre, non avendo timori nello schierarsi dalla parte giusta della barricata e della Storia, tenendo fede al loro percorso di integrità morale. Tacciano le armi e si ritrovi il lume della ragione. From the river to the sea, Palestine will be free (?).

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