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Recensione : Dea Marica – Curse Of The Haunted

Un disco che non trova la sua forza in passaggi atmosferici o di facile presa, bensì nella sua sobria essenzialità che è caratteristica tipica della scuola doom britannica

Dea Marica – Curse Of The Haunted

I Dea Marica sono un progetto doom di Riccardo Veronese , musicista inglese nonostante nome e cognome facciano pensare in maniera evidente ad un’origine italiana.

La componente tricolore è comunque ben presente in questo lavoro in quanto il chitarrista-bassista si è avvalso della collaborazione del cantante Roberto Mura e del batterista Marco Z. dei doomsters sardi Urna; inoltre lo stesso monicker prescelto rimanda alla divinità venerata nell’antichità dai Romani e, di tale culto, permangono ancora diverse vestigia oltre ai resti di un tempio eretto sulle sponde del Garigliano.
Ma al di là della collocazione geografica della band, ciò che interessa maggiormente è la qualità della musica proposta, ovvero un death-doom che finisce per essere complementare sia agli altri gruppi che vedono coinvolto Veronese, i Gallow God e gli Aphonic Threnody (dove è presente al completo la line-up dei Dea Marica), sia agli stessi Urna.
La peculiarità di Curse Of The Haunted è proprio quella di non adagiarsi su uno standard stilistico troppo definito in ambito doom, mostrando invece i diversi volti del genere, a partire da quello tradizionale dell’opener The Tower , ossequiosa ai dettami di Black Sabbath e soprattutto Candlemass, ma chiaramente rivisti con la sensibilità di un musicista di estrazione più estrema.
The Last Goodbye presenta un death-doom più canonico, nonostante Roberto Mura utilizzi una voce pulita molto evocativa, mentre Skeletons and Blind Skulls si avvicina a territori funeral muovendosi con una lentezza decisamente superiore a quella adottata nel resto del disco.
Se Doom Bar palesa ancora sfumature differenti, rivelandosi come uno dei brani migliori in assoluto ed esibendo una maggiore aggressività, Edge of Darkness e Dead and Damned ritornano a solcare territori più tradizionali, ma è la successiva Don’t Pray for Them a segnalarsi come uno dei punti più alti dell’album visto, grazie a melodie e vocals dolenti che accompagnano la traccia fino al suo termine.
A conclusione del lavoro troviamo Lady Greensleeves , ovvero la riproposizione in chiave doom del famoso brano della tradizione britannica risalente al XVI secolo (impossibile che non lo abbiate mai ascoltato neppure di sfuggita, e dopo poche note lo riconoscerete senz’altro): esperimento non privo di rischi ma indubbiamente riuscito.
Curse Of The Haunted, nonostante la sua durata di circa un’ora, si rivela assolutamente godibile anche se è assolutamente necessario ascoltarlo più volte per poter riuscire a coglierne pienamente l’essenza: io stesso dopo i primi approcci non l’avevo trovato particolarmente convincente ma era forte la sensazione che meritasse un dovuto approfondimento per poterne assaporare i contenuti in maniera compiuta.
Del resto stiamo parlando di un disco che non trova la sua forza in passaggi atmosferici o di facile presa, bensì nella sua sobria essenzialità che è caratteristica tipica della scuola doom britannica; si rinvengono infatti, talvolta, tratti comuni non solo con gli imprescindibili, My Dying Bride, ma anche con diverse formazioni messesi in evidenza in questi anni quali The Prophecy, My Silent Wake e The Drowning.
Ma, al di là di tutte le considerazioni, Curse Of The Haunted , che giunge solo un anno dopo l’esordio, mostra la bontà della scelta compiuta da Riccardo Veronese, che, avvalendosi del pregevole operato dei due musicisti italiani al suo fianco, si è mostrato capace di portare alla ribalta un nuovo nome in grado di dire la propria all’interno di una scena doom in grande fermento.

Tracklist:
1. The Tower
2. The Last Goodbye
3. Skeletons and Blind Skulls
4. Doom Bar
5. Edge of Darkness
6. Dead and Damned
7. Don’t Pray for Them
8. Lady Greensleeves

Line-up:
Riccardo Veronese – Guitars, Bass, Keyboards
Roberto Mura – Vocals
Marco Z. – Drums

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