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Recensione : Wasted Pido – Same shit everywhere

Avete presente le scene dei minuti iniziali del classicone horror “La notte dei morti viventi” di George Romero, in cui i due fratelli arrivano in un cimitero,in visita alla tomba del padre e, dopo l’iniziale spavalderia cazzeggiante, vengono improvvisamente inseguiti e assaliti da uno zombie (che attacca e tramortisce Johnny, trasformatosi poi anch’egli in uno zombie che, a sua volta, preleva forzatamente l’ex sorella Barbara dalla famigerata casa dove si erano barricati gli umani in preda al panico) sbucato fuori dal nulla, e che poi attira l’invasione notturna di centinaia di morti viventi, assetati di nuovo sangue degli esseri viventi intrappolati in quella dimora?

Ecco, osservando la copertina di “Same shit everywhere“, nuovo album dell’one-man band veneto Wasted Pido (al secolo Enrico Stocco, già nei Destroy All Gondolas e altri progetti) sembra di percepire proprio quel feeling, dove ci si avventura in una sorta di cimitero in bianco e nero, nel quale vengono disseppelliti i cadaveri di Link Wray, Hasil Adkins, R.L. Burnside, Paul “Wine” Jones e altri mostri dissacrati del blues/rock ‘n’ roll primitivo che risorgono e azzannano i nostri sensi ispirando lo spirito dei solchi di questo Lp (dedicato al poeta partigiano Romano Pascutto).

E’ infatti un trash blues/lo-fi R’N’R di marcata scuola Voodoo Rhythm/Reverend Beat-Man (ispirazione che risalta evidente in brani come “Eggs of Colombo“, “Piss valley“, “Fake lips” o “Poison bottle“) quello che ci sbatte in faccia questo massacro dei buoni sentimenti – particolarmente (contro)indicato per questi giorni natalizi: provate a immaginare la perplessità mista a schifo dei vostri parenti, se doveste mai far trovare un disco urticante come questo in regalo sotto i proverbiali alberi festivi e, oltraggiando le canzoncine a tema natalizio, faceste partire il trashabilly letale di “Wolanka“, in un periodo come questo, in cui abbonda l’ipocrisia che fa venire il latte alle ginocchia – in cui, dopo aver vagato tra la tomba di Lemmy e Cliff Burton, il nostro polistrumentista (e videomaker) profana il loculo del cadavere di Howlin’ Wolf (per fare a pezzi la sua “Smokestack lightning“) e dei membri defunti dei Kraftwerk (per risuonare il loro evergreenThe model“, tra l’altro rifatta in passato anche dai Big Black di un altro illustre e, purtroppo, recente “morto eccellente”, Steve Albini) per poi copulare coi fantasmi di Bassholes, Gories, Country Teasers e Pussy Galore con, in sottofondo, il flusso di coscienza marcio di “Same shit somewhere“, perché sono tempi di merda sia per i vivi che per i morti (come suggerisce la title track).

Nella Venezia che noi vorremmo, non dovrebbero esistere i gondolieri che accompagnano i turisti (al massimo gli si venderebbero, come gadgets, gli album del catalogo Crypt, In The Red e Norton Records nei negozi e sulle bancarelle) canticchiando “O sole mio“, ma dovrebbe essere sparata in filodiffusione per tutta la città la musica abrasiva e iconoclasta di Wasted Pido. Pogo alto in piazza san Marco.

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