iye-logo-light-1-250x250
Webzine dal 1999
Cerca
Close this search box.

Recensione : “tropico Del Cancro” Di Henry Miller

Cos’altro aggiungere? Ha detto George Orwell: “Quando il romanzo di Henry Miller Tropico del Cancro apparve, ebbe un’accoglienza solo cautamente laudativa, ovviamente condizionata in alcuni dal timore d’apparire amanti della pornografia.

“Tropico del Cancro” di Henry Miller

“tropico Del Cancro” Di Henry Miller

 

“Tropico del Cancro” di Henry Miller

“Tropico del Cancro” di Henry Miller, edito da Mondadori

Tropico del Cancro viene pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1934 e scatena subito una ridda di polemiche e censure. Miller parla di sé in prima persona, racconta dei suoi amici, dei miseri ma vibranti quartieri che attraversano e vivono, di ubriachezze, donne e risse.

Riguardo questo romanzo autobiografico, nell’agosto del ’35 lo scrittore e poeta Lawrence Durrell scrive all’amico autore: “Il Tropico è un qualcosa che si è cercato di scrivere sin da dopo la guerra. È la bella copia di tutti quei canovacci approssimativi e insipidi – il Chatterley, l’Ulisse, il Tarr ecc. – perché non solo guarda all’indietro, ma (cosa che nessuno di loro ha mai fatto) indica anche una direzione per il futuro. Abbiamo finalmente una via d’uscita dalle latrine.

È curioso che nessuno abbia pensato ad andar via dopo aver tirato l’acqua dello sciacquone, invece di starsene lì a ostruire la porta. Io saluto nel Tropico il libro della mia generazione. È a misura d’uomo e si colloca, sin da ora, tra quei libri (rari e preziosi) che gli uomini hanno creato con il fegato.

Per Dio, suona tutto talmente enfatico, ma cos’altro posso dire?”

Potrete leggere passaggi come questi:

• Il cancro del tempo ci divora.
• Non ho né soldi, né risorse, né speranze. Sono l’uomo più felice del mondo.
• (…) non un uomo, in questi ultimi cento anni, è stato abbastanza pazzo per mettere una bomba nel buco del culo del creato e di farlo saltare in aria. Il mondo marcisce, muore a poco a poco. Ma ci vuole il coupe de grace, ci vuole, per farlo andare in pezzi. (…) Noi dobbiamo sopprimerla, l’evoluzione di questo mondo che è morto ma che ancora non è stato sepolto.
• (…) guardo un passero che becchetta in una merda fresca. Straordinario com’è facile campare per un passero.
• (…) nessuno può rifiutare un pasto a un uomo, se lui ha il coraggio di chiederlo.
• Ora c’è brusio e tutti quelli che vogliono tossire tossiscono fino a levarsene la voglia. C’è rumore di piedi che strusciano e di sedie che sbattono, il rumore continuo, friggente di persone che si muovono senza scopo, di gente che agita i programmi e fa finta di leggerli e poi butta i programmi, trapesta sotto la sedia, grata del minimo incidente che impedisca di chiedersi a cosa pensano, perché se sapessero che non pensano a nulla impazzirebbero.
• Dovunque siano dieci indù, là ecco l’India con le sue sètte e i suoi scismi, gli antagonismi razziali, linguistici, religiosi, politici. Nella persona di Gandhi essi sperimentano, per un attimo breve, il miracolo dell’unità, ma quando sarà sparito lui, il tracollo, l’ultima ricaduta in quella lotta e in quel caos tanto caratteristici del popolo indiano. Il giovane indù, naturalmente, è ottimista. È stato in America, è restato contaminato dal facile idealismo degli americani, contaminato dall’onnipresente vasca da bagno, i magazzini popolari di cianfrusaglie da cinque e dieci centesimi, l’agitazione, l’efficienza, i macchinari, gli alti salari, le biblioteche gratuite ecc. ecc. Il suo ideale sarebbe quello di americanizzare l’India. Non è affatto contento della mania regressiva di Gandhi. Progresso, dice, proprio come uno dell’YMCA. Quando ascolto i suoi discorsi sull’America, capisco che è assurdo attendersi da Gandhi quel miracolo che dovrebbe deviare il corso del destino. Il nemico dell’India non è l’Inghilterra, ma l’America.
• L’America è l’incarnazione medesima della dannazione. Trascinerà il mondo intero giù nel pozzo senza fondo.
• È quasi ora di cena e la gente si trascina nella propria stanza con quell’aria stanca e disfatta che viene dal guadagnarsi da vivere onestamente.
• Fino ad allora non un amico avevo trovato a Parigi, circostanza che, piuttosto che deprimermi, mi sbalordiva, perché, qualunque parte del mondo io abbia battuto, la cosa più facile è stata scoprire un amico. Ma in sostanza non m’era successo nulla di tremendo. Si può vivere senza amici, come si può vivere senza amore, o anche senza danaro, che tutti reputano una sine qua non.
• (…) il debole e il disarmato vengono calpestati nel fango e nessuno sente le loro grida.
• Non esiste l’America. È un nome che si dà a un’idea astratta.
• Le idee debbono sposarsi all’azione (…). Le idee non possono esistere da sole nel vuoto del pensiero.
• Una volta pensavo che essere umano fosse la maggior meta dell’uomo, ma oggi vedo che questo significava distruggermi. Oggi mi vanto di poter dire che sono disumano, che appartengo non agli uomini e ai governi, che non ho nulla a che fare coi credi e coi principii.
• Mi sentivo libero e incatenato a un tempo – come ci si sente poco prima delle elezioni, quando tutti gli imbroglioni sono stati iscritti sulle liste e ti pregano di votare per l’uomo giusto.

Cos’altro aggiungere? Ha detto George Orwell: “Quando il romanzo di Henry Miller Tropico del Cancro apparve, ebbe un’accoglienza solo cautamente laudativa, ovviamente condizionata in alcuni dal timore d’apparire amanti della pornografia. Tra coloro che lo lodarono ci furono T.S. Eliot, Herbert Read, Aldous Huxley, John Dos Passos, Ezra Pound. Io caldamente raccomando a chiunque non l’abbia ancora fatto, di leggere Tropico del Cancro. Anche se certe sue parti vi scandalizzeranno, vi resterà impresso nella memoria.”

Marco Sommariva

Get The Latest Updates

Subscribe To Our Weekly Newsletter

No spam, notifications only about new products, updates.
No Comments

Post A Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE

Furore di John Steinbeck

Furore di John Steinbeck

Furore di John Steinbeck: “Pubblicato nel 1939 “Furore” è divenuto il romanzo simbolo della Grande Depressione americana.