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Recensione : Ivenus – Dasvidanija

Synth, pop e disagio, la formula magica de iVenus tenta a tutti i costi di piacere e ci riesce, sempre si riesca ad abbandonare ogni velleità.

Ivenus – Dasvidanija

Scrivere una recensione è già più difficile di quel che possa sembrare, tutto si complica poi se nel mirino finisce un gruppo con cui condividi la stessa città d’origine. Voci, note e rumori diventano volti, caratteri e sagome che hai visto calpestare le tue stesse strade per anni. Separare il livello di giudizio dell’ascoltatore nativo dall’ottica in scala nazionale non è semplice, soprattutto se si parla di un gruppo, come iVenus, con cui è difficile condividere spazio vitale senza creare un rapporto emotivo di qualsiasi sorta.

Attivi sul territorio ligure dall’età della pietra, il loro debutto di un paio di anni fa, Tanz!, sapeva ancora molto di ‘fatto in casa’, ma conteneva già una quantità notevole di singoli irresistibili, che li aveva sbalzati in un tour biennale in cui si sono trovati a condividere il palco con alcuni dei nomi più altisonanti della scena italica. Piacioni, spettinatori ammiccanti e volutamente poco raffinati (anzi, piuttosto tendenti al trash) volano intorno a quel pop più teatrale e rumoroso, supportato però, più di quanto lascino intendere, da un ABC implicito di quanto successo in Italia negli ultimi anni in ambito musicale, dal baby building al che cos’hai tu da brillare tanto e l’occhio nero con la matita blu.

Per chi già li conosce, Dasvidanija non cambia troppo le carte in tavola rispetto al passato: si parla sempre di un assetto strumentale dei più classicamente rock, arricchito da una tastiera effettata, pestata con foga, che prende spesso il sopravvento su tutto, lasciandosi piegare solo dai capricci vocali del frontman Cash nella Pelliccia. Tanti riverberi, tanti synth, tanto pop, tanto casino: il rischio di suonare come un vecchio incubo anni ’80 è sempre dietro l’angolo, ma tutto sembra fatto per far muovere e ballare o quanto meno battere un po’ il piedino. I testi, sorprendentemente arguti, abbozzano ritratti agrodolci di gioie passate o auspicate, disagi e disastri emotivi con picchi di menefottismo notevoli, misantropia e amore globale condividono lo stesso letto.

Se un elemento di costanza c’è, è sicuramente la ricerca dell’orecchiabilità più immediata e coinvolgente (una sola eccezione: la title-track, ballata lenta e docile nei suoni, ma non nel testo). Ci sono dei momenti in cui il gruppo ci riesce discretamente bene (la blasfema The great capitombolo, il tripudio di synth di scuola i Cani Settembre, il Fiumani & Dylan Dog di Mangianastri), altri in cui qualche perplessità può essere più che lecita (C’est la vie mon amie, in cui la musica leggera tende a diventare troppo leggera, e Ventricoli, mancante quel qualcosa in più che mantenga viva l’attenzione). Spicca sul resto, scandendo il ritmo generale del disco, l’irresistibile trittico P.O.P, Grazielle e Rembrandt: giocate su ritmi martellanti e ciclici, tutte e tre si scagliano in faccia all’ascoltatore, avvinghiandolo in una presa ermetica da cui è difficile sottrarsi.

Per capire del tutto iVenus, probabilmente, bisogna andarli a cercare in qualche concerto, quando ci si trova davanti a orde in delirio, crowd-surfing ad ogni ritornello, bassisti che si contorcono a piedi nudi e caramelle gettate a grappoli contro gli aficionados in prima fila. Questo, però, si rivela sempre un’arma a doppio taglio, raramente impugnata dalla parte del manico in un mondo in cui la carta che canta resta pur sempre il disco. Se immerso nel contesto nazionale e spogliato di tutte le associazioni visive e sonore raccolte nei live, Dasvidanija rischia di fare la figura del Davide: ha ancora le spalle strette e le gambe deboli, avrebbe forse bisogno di un po’ di esercizio mirato per rinforzarsi qua e là, ma potrebbe lo stesso battere il suo Golia se decidesse di giocare d’astuzia.

Tracklist:
01. P.O.P.
02. The great capitombolo
03. Settembre
04. C’est la vie mon amie
05. Mangianastri
06. Grazielle
07. Ventricoli
08. Rembrandt
09. Dasvidanija

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