iye-logo-light-1-250x250
Webzine dal 1999
Cerca
Close this search box.

Recensione : Forgotten Tomb – Hurt Yourself And The Ones You Love

L'ennesima prova maiuscola di una grande band, con un album inattaccabile sotto qualsiasi punto di vista.

Forgotten Tomb – Hurt Yourself And The Ones You Love

Per comprendere il valore effettivo dei Forgotten Tomb è sufficiente fare un ripasso mentale delle proprie conoscenze musicali cercando di ricordare quante siano le band che, nell’arco di oltre quindici anni di carriera ed almeno sette album all’attivo, abbiano mantenuto costantemente uno standard qualitativo così elevato.

Ben poche, immagino, e tra queste la creatura di Herr Morbid è una tra quelle che sono tutt’oggi attive senza alcuna intenzione di mollare la presa, come dimostra un lavoro eccellente come Hurt Yourself And The Ones You Love.
Come ebbi già occasione di dire in occasione del precedente “… And Don’t Deliver Us From Evil”, i Forgotten Tomb hanno cambiato pelle rispetto alle asperità degli esordi, eppure, paradossalmente, non sono mai stati pesanti come oggi, con un sound riconoscibile in ogni passaggio e capace di attingere da svariati generi mantenendo un’impronta oscura e tutt’altro che che rassicurante dalla prima all’ultima nota.
Rispetto al precedente album i brani appaiono ancor più profondi e la componente doom forse spicca come non mai nella pur abbondante produzione della band piacentina: le chitarre suonano corposamente distorte e, a tale approdo, potrebbe non essere del tutto estranea l’esperienza di Herr Morbid con i Tombstone Highway, band che lo ha visto alle prese con una formidabile proposta di southern “doomizzato”.
Non a caso i due brani che maggiormente impressionano sono proprio quelli che trasportano questo seme: prima Bad Dreams Come True, specie nella sua fase iniziale, visto che in seguito si apre ad una delle rare quanto impressionanti sfuriate di black melodico, poi soprattutto la monolitica Dread the Sundown, traccia che segna probabilmente uno dei momenti più elevati dell’intera discografia del gruppo emiliano, con il suo riff dalla pesantezza quasi estenuante che, specie nella parte conclusiva, provoca un effetto straniante difficile da spiegare se non provandolo di persona.
L’opener Soulless Upheaval, la title track, Mislead the Snakes e la più  orecchiabile (relativamente, si intende) King of the Undesirables, portano al loro interno le stimmate di un sound che mai come oggi rasenta le perfezione, grazie al mirabile e graduale inserimento di elementi che lo hanno traghettato dal depressive black dei primi album fino a questa forma di metal che ne mantiene inalterato lo spirito, pur senza esibirlo in maniera cruda e diretta come avveniva al’inizio dello scorso decennio.
Il malinconico ambient di Swallow the Void mette la parola fine su un album inattaccabile sotto qualsiasi punto di vista.
Fuori dai nostri confini i Forgotten Tomb ci vengono invidiati un po’ da tutti; sarebbe il momento di dimostrare finalmente che anche in Italia un numero consistente di persone è in grado di apprezzare forme artistiche più estreme, come già avviene da tempo in molti altri paesi …

Tracklist:
1. Soulless Upheaval
2. King of the Undesirables
3. Bad Dreams Come True
4. Hurt Yourself and the Ones You Love
5. Mislead the Snakes
6. Dread the Sundown
7. Swallow the Void

Line-up:
Herr Morbid – Guitars, Vocals
Algol – Bass
Asher – Drums
A. – Guitars (lead)

FORGOTTEN TOMB – Facebook

Get The Latest Updates

Subscribe To Our Weekly Newsletter

No spam, notifications only about new products, updates.
No Comments

Post A Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE

Eventide – Waterline

Gli Eventide offrono una versione dell’ambient drone intrisa da corpose sfumature jazz e sempre in grado di attrarre l’attenzione rifuggendo ogni stucchevolezza.

Faal – Fin

Fin merita d’essere ascoltato e apprezzato quale prova delle capacità di una band la cui fine lascia più di un rimpianto, non solo per l’irreparabile perdita umana ma anche perché, per il potenziale espresso, avrebbe meritato maggiore attenzione rispetto a quella ottenuta lungo una quindicina d’anni di attività.

Hamferð – Men Guðs hond er sterk

Il sound della band di Tórshavn è talmente peculiare da sfuggire ad ogni tentativo di sommaria classificazione: il tutto avviene senza il ricorso a chissà quali soluzioni cervellotiche in quanto gli Hamferð mettono il loro smisurato talento al servizio di un lirismo che, oggi, è appannaggio solo di pochi eletti.